«A nemmeno 24 ore dall’accoltellamento del collega della Polizia di Stato finito in terapia intensiva dove lotta tra la vita e la morte, un altro collega della Polfer è finito sotto il mirino di un 36enne egiziano che utilizzava un pezzo di marmo contundente facendolo roteare e si è visto costretto a sparare per difendersi. Risultato? Indagato per lesioni dolose pluriaggravate. Mentre i medici del Niguarda tentano di strappare alla morte il collega Christian Di Martino, un magistrato porta alla sbarra un altro collega “colpevole” di aver difeso la propria vita».
È il duro commento di Ilario Castello, segretario nazionale del Nuovo Sindacato Carabinieri (NSC).
«Non solo siamo male equipaggiati da un punto di vista logistico, ma abbiamo anche un impianto normativo inefficace che indaga facilmente i servitori dello Stato e rimette in libertà in tempo record i criminali che attentano alla nostra vita. Non crediamo – continua – alla storia dell’atto dovuto. Un vero atto dovuto nei confronti di uomini e donne che quotidianamente rischiano la propria vita, sarebbe metterli in condizione di operare senza dover scegliere in caso di pericolo, se morire in ospedale o, considerati i tempi della giustizia, in tribunale. L’Arma dei Carabinieri ha già pagato il suo tributo di sangue con il vice brigadiere Mario Cerciello Rega in una circostanza analoga a quella che ha visto coinvolto il collega Di Martino. Il vero atto dovuto – conclude – deve essere quello messo in campo da politica e governo che devono equiparare uomini e donne del comparto sicurezza e difesa a tutti gli altri lavoratori secondo le norme dell’81/08, con l’utilizzo di DPI per i Servitori dello Stato e strumenti idonei a preservare la loro incolumità».