(Adnkronos) – Incidenti subacquei, infezioni da germi anaerobi, intossicazioni da monossido di carbonio, gravi traumi. Sono le cosiddette ‘patologie tempo dipendenti’ chiamate così perché, se non curate immediatamente, portano il quadro clinico del paziente in una situazione che potrebbe essere irrecuperabile e di conseguenza alla morte o all'inabilità permanente. Per loro l’unica salvezza è rappresentata dai Centri iperbarici “dove arrivano anche over-70 con la passione delle immersioni subacquee vittime di incidenti da decompressione” spiega all’Adnkronos Salute Claudio Spena, responsabile Medicina iperbarica della Società italiana anestesia analgesia, rianimazione e terapia intensiva in occasione del 77esimo Congresso Siaarti in corso a Roma. “Questi pazienti rientrano nello spettro d'azione del medico rianimatore, già abituato a rispondere alle patologie più gravi e importanti dal punto di vista dell'impatto – afferma Spena che è anche Responsabile Piani di Emergenza intraospedaliera Asl2 Savonese – Nei centri iperbarici pubblici all’interno degli ospedali, gestiti da specialisti in anestesia e rianimazione, però si fa tanta terapia di tipo elettivo e si trattano i pazienti anche a livello ambulatoriale per curare, ad esempio, le conseguenze di patologie croniche come il diabete, sostanzialmente le infezioni agli arti inferiori (piede diabetico)”. Nell’ospedale San Martino di Genova, “dove ho lavorato fino a due anni fa – racconta l’esperto – ogni anno erano circa 200 gli interventi in urgenza per patologie che necessitavano in qualche modo del trattamento in camera iperbarica”. Un dato nazionale completo, invece, “ancora non lo abbiamo – si rammarica Spena – perché non esiste un database ad hoc”. E di nuove frontiere in Terapia iperbarica si è parlato durante il Congresso Siaarti “anche con esperti internazionali proprio perché le indicazioni in campo neurologico sono una novità sia dal punto di vista della ricerca sia dal punto di vista clinico”. Tuttavia, per Spena “noi specialisti dei Centri iperbarici siamo un gruppo ristretto nell’ambito dell’anestesia e rianimazione. Normalmente, gli anestesisti non lavorano in camera iperbarica, vengono chiamati, specie durante i turni festivi, a dare supporto a questi centri in caso di emergenza. Talvolta ne sanno poco, e questo è un problema. Fondamentale la formazione ma se poi per quindici anni lo specialista non ha più lavorato in un centro iperbarico la formazione che ho fatto ai tempi della Scuola di specializzazione è un lontano ricordo. Quindi l’aggiornamento deve essere continuo” conclude. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)