(Adnkronos) – Nel decennio 2012-2022 l’industria alimentare ha mostrato un trend di buona crescita reale, mentre l’agricoltura ha vissuto annate sfavorevoli in successione, soprattutto a causa dell’andamento climatico. Dal lato dell’industria alimentare, l’Italia si posiziona al terzo posto nella graduatoria dei paesi Ue, ma con un trend migliore rispetto ai principali partner. Il nostro Paese copre circa il 12% del valore aggiunto totale, dopo la Germania e la Francia, ma sopra alla Spagna. E' quanto emerge dal Rapporto Ismea sull’agroalimentare italiano presentato oggi alla presenza del ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida. L'Italia, stando a Ismea, è leader incontrastato nell’industria pastaria (oltre il 73% del fatturato dell’Ue) e con un ruolo di rilievo nel vino (28%), prodotti da forno e biscotti (21%), nonché negli ortofrutticoli trasformati, nell’industria del caffè, del tè e delle tisane e nell’industria molitoria e del riso, con un peso analogo, pari al 17% del fatturato europeo. Analizzando l’insieme dei settori della produzione agricola e della trasformazione industriale, sottolinea il rapporto, nel 2022 il valore aggiunto della filiera agroalimentare è arrivato a 64 miliardi di euro. Sono 37,4 i miliardi generati dal settore agricolo e 26,7 miliardi dall’industria alimentare. In questa configurazione “ristretta”, il comparto rappresenta il 3,7% del valore aggiunto dell’intera economia italiana. Inglobando le fasi a valle della produzione alimentare, ossia distribuzione e ristorazione, si arriva al 7,7%, ma se si considerano anche i servizi e le attività necessari per far arrivare i prodotti dal campo alla tavola (trasporti, logistica, intermediazione), la stima del peso dell’agroalimentare sul Pil supera il 15,2%. Sul versante della produzione agricola, l'Italia è retrocessa in terza posizione, dopo Francia e Germania (prima era seconda dopo la Francia), soprattutto a causa degli eventi climatici. Il 2022, infatti, è stato l'anno più caldo e meno piovoso e il 2023 si sta rivelando anche peggiore, stando a Ismea. Dal 2021, inoltre, l'Italia ha passato alla Francia il primato del valore aggiunto, mantenuto quasi ininterrottamente dal nostro Paese nel corso del decennio. Il peso dell’Italia sulla produzione agricola dell’Ue, si legge ancora nel rapporto, è pari complessivamente al 14%, ma sale al 37% per il vino, dove è secondo solo a quello della Francia (43%), e al 33% per l’olio d’oliva, dove segue il 48% della Spagna. Anche per la frutta, con il 18% della produzione dell’Ue, l’Italia fronteggia la forte concorrenza della Spagna, che ne copre il 28%. Ma soprattutto l’Italia conferma la sua vocazione alle attività secondarie e ai servizi in agricoltura, che insieme rappresentano il 18% della produzione agricola nazionale e che ribadiscono la sua leadership in Europa sul fronte della diversificazione e multifunzionalità del settore agricolo. Oltre agli effetti del clima, evidenzia Ismea, pesano sull’agricoltura italiana alcune debolezze strutturali, quali la scarsa presenza di giovani imprenditori (solo il 9%, contro il 12% della media Ue) e il correlato basso livello di formazione di chi guida la maggioranza delle aziende agricole. Persiste, inoltre, la frammentazione del tessuto produttivo, nonostante l’aumento della superficie agricola aziendale occorsa nell’ultimo decennio, che segnale la presenza di un lento processo di concentrazione e riorganizzazione. Anche l’accesso alla terra si conferma un punto dolente per l’agricoltura italiana, principalmente a causa della scarsa disponibilità di terreni che porta i valori fondiari a essere in media quasi 6 volte superiori alla Francia e due volte alla Spagna. Nell’ultimo decennio la competitività dell’agroalimentare italiano sui mercati esteri è in aumento. Le nostre esportazioni sono cresciute al ritmo del 7,6% all’anno, ben maggiore di quello delle esportazioni mondiali (+5,6%), con una quota di mercato che passa dal 2,8% del 2012 al 3,4% nel 2022. Eemerge dal Rapporto Ismea sull'agroalimentare italiano. Lo share dell’agroalimentare made in Italy sui mercati internazionali, evidenzia Ismea, è uguale a quello della Spagna, anch’essa contraddistinta da uno spiccato dinamismo dell’export, mentre è inferiore alle quote di Germania e Francia (rispettivamente del 4,8% e 4,3% nel 2022), che tuttavia si sono ridotte nel decennio. Il peso dell’export tricolore sulle spedizioni comunitarie si attesta al 10%, al pari di quello spagnolo, più contenuto di quello francese e tedesco. Ma in generale, e presso la quasi totalità dei principali paesi acquirenti, l’Italia ha migliorato il suo posizionamento competitivo. Nel triennio più recente, tra il 2019 e il 2022, le esportazioni agroalimentari italiane sono aumentate del 34%, superando il record di 60 miliardi di euro nel 2022 e, nello stesso periodo, le importazioni sono cresciute del 37%. La bilancia commerciale agroalimentare è migliorata nel triennio, con il saldo in attivo nel 2020 e nel 2021, mentre nel 2022 si è consolidato il surplus per i trasformati, ma è aumentato contemporaneamente il deficit della fase agricola, facendo tornare in negativo, sia pur di poco, il saldo complessivo. Nel confronto con i partner europei, il settore agroalimentare tedesco è quello che mostra il maggior livello d’integrazione commerciale internazionale, grazie anche alla forte presenza all’estero, specie in Europa, della sua distribuzione alimentare. La Francia, al contrario, è il paese più orientato al proprio mercato interno. La Francia, a parte i vini, è specializzata principalmente nell’esportazione di materie prime agricole, mentre Italia e Germania in quella di prodotti trasformati, secondo quanto rilevato dal rapporto. L’Italia è leader mondiale nell’export di trasformati di pomodoro, pasta, vino, formaggi. La Spagna si focalizza su ortofrutta, olio d’oliva e carni suine. Nel complesso, considerando i primi 20 prodotti esportati da ciascun paese, l’Italia è seconda solo alla Francia in termini di prezzo medio, che segnala un alto livello di qualità delle esportazioni, mentre Germania e Spagna, caratterizzate da valori medi unitari inferiori, tendono ad esercitare una concorrenza di prezzo. —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)