(Adnkronos) – La sera del 9 ottobre 1963 alle ore 22.36, nel bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont, al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto, una gigantesca frana (oltre 270 milioni di metri cubi di roccia) precipitò dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino causando la tracimazione dell'acqua contenuta nell'invaso dalla diga. Le onde, di cui una superò di più di 250 m in altezza il coronamento della diga, colpirono prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago, per poi inondare e distruggere degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone. Le vittime furono 1.910, tra cui 487 minorenni. I lavori di costruzione della diga, progettata dall’ingegnere Carlo Semenza, cominciarono nel 1957 e il versante sovrastante la diga fu subito tenuto sotto controllo. Per tre anni, infatti, furono consultati vari esperti: nessuno di loro però riuscì ad identificare la paleofrana (accumulo di materiale incoerente lungo un pendio dovuto ad una frana avvenuta in tempi antichi) che poi sarebbe stata vista come causa determinante. Prima della grande frana ci furono due segnali: il primo nel 1959, quando 3 milioni di m3 di roccia franarono nel bacino di Pontesei, uno dei bacini del sistema del Grande Vajont senza però causare danni, il secondo invece il 4 novembre del 1960, quando una piccola frana avvenne nel bacino della diga del Vajont e provocò un’onda di due metri. Nonostante questi avvertimenti, la preoccupazione dello stesso Carlo Semenza e il coinvolgimento di esperti, non si riuscì, attraverso la valutazione e l'interpretazione del territorio, a prevenire la tragedia che avvenne poi tre anni dopo. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)