(Adnkronos) – La prima fase, quella dell'isolamento della Russia e delle sanzioni internazionali per la guerra in Ucraina, ha dato l'illusione di poter chiudere i conti con Putin facendo collassare Mosca sul piano economico. Le ripercussioni dell'isolamento ci sono state, e sono evidenti nei numeri, ma non sono state tali da spingere il Cremlino a fermare le operazioni belliche. Così come ci sono state conseguenze più contenute, rispetto alla crisi globale paventata da molti, per le economie occidentali. La seconda fase, quella del finanziamento delle macchine militari sta portando però a un progressivo affaticamento, che cresce insieme all'assuefazione delle opinioni pubbliche. Con differenze sostanziali sui due fronti ma con un fattore comune: la guerra sta costando tanto e sta durando troppo, rispetto alle previsioni di tutti. Sul tavolo di sono tre punti chiave: la tenuta della Russia, quella della coalizione occidentale e quella, che dipende dalle prime due, dell'Ucraina. L'economia russa arretra, seppure meno velocemente delle previsioni occidentali. Il valore del Rublo è al minimo storico. La governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, continua ad alzare i tassi, e il costo del denaro, nel tentativo di limitare i danni. Soprattutto, il tenore di vita dei russi peggiora, colpendo in maniera più evidente le già provate classi meno agiate. Eppure, Vladimir Putin rilancia, con un unico obiettivo in testa: vincere la guerra in Ucraina e conservare il proprio potere. Il governo russo ha stanziato per le spese militari il 70% in più dello scorso anno, arrivando a spendere tre volte quello che spendeva nel 2021. E lo sta facendo attingendo a tutte le forme di ricavo possibile: con le estorsioni alle aziende straniere che sono state costrette a lasciare la Russia, con una iper tassazione di quelle rimaste e anche togliendo risorse a qualsiasi altra voce di spesa. Il dato significativo è quello che porta al 6% del Pil la spesa militare, superando per la prima volta la quota destina a quella sociale. Pochi dubbi sulla determinazione del Cremlino di andare avanti ad oltranza. Il punto interrogativo principale riguarda la tenuta interna, con due variabili estremamente sensibili che chiamano in causa direttamente il controllo del potere autoritario di Putin: da una parte la resistenza alle condizioni avverse delle popolazione, che non può essere infinita, dall'altra la pazienza di quello che resta delle elite, con gli oligarchi che rischiano concretamente di non riavere indietro quello che hanno perso e che continuano a perdere dall'inizio della guerra. Segnali di affaticamento ci sono però anche sull'altro fronte, quello occidentale che sostiene e finanzia la resistenza dell'Ucraina. Le difficoltà di Biden negli Stati Uniti, con Trump che soffia sul fuoco chiamando in causa le responsabilità dell'Europa, sono un fattore chiave dell'intero sistema che è stato costruito per mettere Volodymyr Zelensky nelle condizioni di tentare una controffensiva sul campo. Se dovessero indietreggiare gli Stati Uniti, le possibilità che l'Ucraina possa essere lasciata al suo destino salirebbero vertiginosamente. Anche perché segnali altrettanto evidenti di affaticamento, o assuefazione, rispetto al conflitto e soprattutto all'impegno necessario per portarlo avanti si registrano ormai da settimane anche in Europa. Sono legati alla percezione del problema nelle opinioni pubbliche e, in maniera più stringente, alle risorse necessarie per portare avanti l'impegno. Per questo alle richieste di Zelensky iniziano ad arrivare risposte più ambigue. Con una serie di distinguo che, nel caso dell'Italia, riguardano anche l'esigenza di non scoprire troppo la propria difesa. Il conflitto in Ucraina sta consumando anche le riserve di armamenti e munizioni, che non sono di certo illimitate. Il sostegno occidentale all'Ucraina ha sempre poggiato su un postulato chiaro: la caduta di Kiev provocherebbe un effetto a catena pericolosissimo per gli equilibri geopolitici e militari, creando un precedente intollerabile per qualsiasi interpretazione del diritto internazionale. Nulla può essere cambiato da questo punto di vista. Se non il dubbio che il costo della guerra stia diventando insostenibile. E qui si apre un altro interrogativo: fino a quando e fino a quanto si è disposti a spendere? Il terzo punto chiave, che inevitabilmente dipende dai primi due, riguarda il destino dell'Ucraina. Venti mesi di guerra hanno devastato il Paese, producendo una quantità di danni, materiali e immateriali, per cui serviranno anni di lavoro quando le armi smetteranno di fare morti e ulteriori danni. Il fattore economico, da questa prospettiva, è destinato a pesare per i prossimi decenni. Quello che sarà dell'Ucraina, però, lo deciderà l'esito del conflitto. Se Kiev riuscisse a non perdere la guerra, potrebbe conservare la sua autonomia e potrebbe sperare in un faticoso processo di ricostruzione. Se, al contrario, Mosca dovesse dilagare sparirebbe come Paese, con la prospettiva più probabile di diventare una provincia povera dell'impero di Putin. C'è una sostanziale differenza tra i due scenari, per tutti: Russia, Ucraina, Stati Uniti, Europa. (Di Fabio Insenga) —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)