(Adnkronos) – Se non è rischio recessione poco ci manca, con il Centro studi di Confindustria che disegna a tinte fosche le prospettive economiche del Paese nel consueto bollettino 'Congiuntura flash'. "Dopo la caduta nel 2° trimestre – si legge -, il Pil italiano infatti è stimato debole anche nel 3° e le attese sul 4° non sono migliori: al calo di industria e costruzioni si affianca la battuta d’arresto nei servizi. E non si fermano i rialzi dei tassi Bce mentre il credito è in caduta assieme alla liquidità e il costo dell’energia torna a salire", con contraccolpi sui consumi e gli investimenti. Latita la domanda estera". E se la parabola dei prezzi registra un calo lento e differenziato, la Bce "ha deciso un altro aumento, a 4,50%, perché prevede un’inflazione troppo alta troppo a lungo" anche se "ha ammorbidito il tono su eventuali ulteriori mosse". Anche la Fed a settembre ha tenuto fermo il tasso Usa a 5,50%, non escludendo nuovi rialzi e i mercati ora, annotano ancora gli economisti di viale dell'Astronomia "ritengono altri rialzi negli Usa e nell’Eurozona possibili, ma non probabili, intravedendo i primi tagli entro il 2024". Ma la situazione sul fronte del credito resta difficile: "Prosegue la corsa del costo del credito (5,09% a luglio) per le imprese italiane e peggiora la caduta dei prestiti (-4,0% annuo)". Una quota crescente di imprese non ottiene credito (8,2% a settembre), denuncia il Csc: "La domanda è frenata da condizioni troppo onerose ma pesano anche i più rigidi criteri di accesso. Perciò, la liquidità delle imprese si sta prosciugando (-10,1% in un anno i depositi), mentre aumentano i ritardi nei pagamenti e il deterioramento dei vecchi prestiti".
Non meglio la situazione nei servizi che ha "esaurito la ripresa", spiega il Centro Studi. "A settembre, la fiducia delle imprese del settore è scesa ancora. Non basta più il buon andamento del turismo: a luglio, +10,0% sul 2022 la spesa degli stranieri in Italia (+20,4% sul 2019) e anche i passeggeri in aeroporto si mantengono oltre i volumi pre-crisi (+3,7%)". E soffre anche l’industria. "A luglio la produzione ha subito una nuova caduta (-0,7%; da inizio anno -1,9%), dopo il recupero di maggio-giugno (+0,2% acquisito nel 3° trimestre). La flessione è concentrata tra i beni di consumo durevoli (-4,4% a luglio)", annota ancora viale dell'Astronomia che ricorda come al miglioramento di agosto abbia fatto però riscontro a settembre una nuova caduta della fiducia delle imprese. "Anche nel settore edile forte calo a luglio (-1,6%, -4,3% da inizio anno) e in agosto l’RTT traccia una timida risalita del fatturato".
Giù infine la domanda interna. "Il calo degli investimenti nel 2° trimestre (-1,8%) è dovuto alle costruzioni (-3,6%) e, in parte, agli impianti-macchinari (-0,2%). I segnali più recenti dai beni strumentali sono negativi: produzione in calo a luglio, meno fiducia a settembre. Per i consumi, fermi nel 2° trimestre, si è avuto un continuo calo del sentiment nel 3°. I beni restano penalizzati rispetto ai servizi: a luglio meno vendite al dettaglio (-0,2% in volume) e in agosto l’Icc rileva un’ulteriore flessione, dovuta ai beni", continua ad elencare Confindustria che indica anche come, "dopo mesi di crescita a luglio si sia registrata la prima incertezza nel mercato del lavoro" che si è tradotto in 73mila occupati in meno: "un freno ai redditi" spiega. In calo anche l'export sia nei mercati Ue che in quelli extra-Ue: "alla debolezza delle vendite in Germania, si è aggiunta una battuta d’arresto di quelle negli Stati Uniti", conclude Congiuntura flash. E' lento quindi il calo dell'inflazione italiana scesa al +5,3% annuo a settembre, spiega ancora il Centro studi di Confindustria che disegna una parabola al rallentatore per la dinamica dei prezzi made in Italy. "I prezzi core di beni e servizi rallentano (+3,9%), mentre per gli alimentari la moderazione è ancora agli inizi (+8,6%) grazie alla flessione recente delle materie prime", si legge in Congiuntura flash. "I prezzi energetici al consumo crescono poco (+1,7% annuo), ma a settembre le quotazioni di gas e petrolio sono risalite (35euro/mwh e 93 dollari/barile)", annota ancora. Ammonta a 4,6 miliardi annui – in totale – l'aggravio di interessi che grava sulle famiglie italiane per via di una stretta sui tassi che ha un impatto considerevole., segnala ancora il Centro Studi Confindustria, evidenziando come l’aumento dei tassi è di +2,84 punti percentuali fino a luglio 2023, che pesano su uno stock di mutui di 425 miliardi di euro, di cui pero' vanno considerati solo quelli a tasso variabile, stimati al 38% del totale (162 miliardi). Al momento, continua il Csc, il maggiore onere connesso all’aumento degli interessi è abbastanza concentrato, perché riguarda solo le famiglie che hanno comprato casa con un mutuo variabile, una quota che è stimata pari al 4,9% delle famiglie italiane (1,2 milioni, su 25,6 totali). Cioè i 4,6 miliardi di interessi in più nel 2023 sono pagati solo da queste famiglie, per le quali i maggiori tassi corrispondono a +3.683 euro di interessi nell’anno (+307 al mese, un aumento consistente della rata per una famiglia con un mutuo residuo medio di circa 130mila euro). Ipotizzando un rinnovo completo dello stock di mutui, ai tassi attuali, l’aggravio di interessi annui per le famiglie italiane salirebbe a +12,1 mld; questo coinvolgerebbe anche le famiglie che ora sono al riparo, perché tutti i nuovi prestiti saranno più cari, anche quelli a tasso fisso. Inoltre, per una famiglia con mutuo variabile oggi e altri 5 anni di rate da pagare, a tassi invariati, l’aggravio complessivo di interessi è di circa 11mila euro (l’acquisto della casa costa molto di più, il 9% del mutuo residuo nel 2023); per 10 e 15 anni di rate l’aggravio arriva a +20mila e +29mila a famiglia. Si tratta comunque di stime ipotetiche visto che ci si attende una discesa dei tassi nei prossimi due anni, riconsoce il Csc. Quanto però all’impatto sul reddito spendibile (al netto della rata di mutuo) e sui consumi nel 2023 la parte di famiglie colpite, che hanno scelto il mutuo variabile perché inizialmente meno oneroso, lo è in modo marcato, tanto da essere quasi certo che saranno costrette a tagliare la spesa in altri beni e servizi. Peraltro per le famiglie, il rialzo dei tassi colpisce anche il credito al consumo utilizzato per l’acquisto di beni durevoli (es. automobili, elettrodomestici). L’aumento dei tassi è stato identico a quelli sui mutui (+2,84 punti percentuali), ma lo stock di tali crediti è decisamente inferiore (circa 120 miliardi di euro). La differenza cruciale è che per questo tipo di prestiti tipicamente la rata è fissa, per cui non si ha un impatto sui debiti in essere. Ma per le nuove operazioni il rialzo dei tassi pesa e potrebbe abbattere la domanda. —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)