(Adnkronos) – Quella di Putin in Russia è, anche tecnicamente, una dittatura. E' così da prima che scoppiasse la guerra in Ucraina ma la guerra in Ucraina e la gestione del potere nell'ultimo anno e mezzo, fino al caso Prigozhin, evidenzia una differenza sostanziale con le democrazie, e anche con altre dittature meno sfacciate: il regime di Putin si fonda sulla paura del suo potere. In un'analisi sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco evidenzia come la morte del capo della Wagner ne sia l'ulteriore conferma. "Uccidendolo in Russia, in un volo partito da Mosca, il Cremlino si è assicurato che a tutti fosse chiarissimo il nome del mandante. Come in tutti gli altri casi, una lunga serie di omicidi eccellenti, il Cremlino ha smentito il proprio coinvolgimento. Ma è come se, smentendo, strizzasse l’occhio, ogni volta, per suggerire 'Mi raccomando, non credete alla mia smentita. Sono stato proprio io'". Nessuna democrazia, evidentemente, potrebbe accettare un atteggiamento simile. "È sciocco non cogliere la radicale differenza fra le due situazioni. La differenza fra un potere che uccide impunemente e lo fa sapere a tutti (scommettendo sul fatto che ciò lo rafforzi) e un potere che non può permetterselo", scrive Panebianco. Panebianco introduce anche un termine di paragone significativo, la Cina. "Sarebbe più comprensibile se gli anti-occidentali di casa nostra simpatizzassero con la sola Cina scartando la Russia di Putin. Anche la Cina è una dittatura, spietata con i dissidenti, ma, almeno, non è riducibile a un club affaristico-mafioso", evidenzia, per poi concludere: "C’è comunque un briciolo di razionalità in chi simpatizza, anziché con Putin, con i 'compagni' cinesi. Non è una scelta da approvare. Ma, almeno, si può comprendere o spiegare". —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)