(Adnkronos) – Alcuni inquinanti ambientali che possono accumularsi nel nostro organismo attraverso l'alimentazione quotidiana – tra cui metalli pesanti come il mercurio contenuto nel pesce, l'arsenico dovuto a un consumo eccessivo di riso o lo stronzio che può trovarsi in cereali, verdure a foglia e latticini, ma anche piombo, stagno, cesio e rubidio – possono ridurre la possibilità di avere un bambino con procreazione medicalmente assistita (Pma). A indagare su quanto gli agenti ambientali nemici della fertilità riducano il successo delle tecniche di Pma è uno studio presentato al 39esimo Congresso della Società europea di riproduzione umana ed embriologia (Eshre), a Copenaghen. La ricerca è stata condotta da Ivi, centro spagnolo di riproduzione assistita presente in Italia a Roma, Milano e Bari, su 51 donne con un'età media di 39 anni, di cui la metà non fumatrici. Tutte sono state sottoposte a trattamento di fecondazione in vitro con trasferimento di una singola blastocisti euploide, con un numero corretto di cromosomi. E' stata quindi analizzata la presenza delle tracce degli inquinanti ambientali nel liquido follicolare, nel plasma e nelle urine in campioni ottenuti il giorno della puntura ovarica, nonché nelle urine ottenute il giorno del trasferimento dell'embrione. I risultati hanno mostrato che una maggiore concentrazione di questi oligoelementi non essenziali, come il mercurio nel sangue e un altro gruppo di tracce non essenziali non così comunemente studiate, stronzio, stagno, cesio e rubidio nelle urine, erano significativamente associati a una risposta ovarica inferiore e a risultati embriologici peggiori nel trattamento della fecondazione in vitro. Inoltre, concentrazioni più elevate di arsenico nelle urine ottenute il giorno del trasferimento embrionale hanno portato a risultati clinici peggiori del trattamento di fecondazione in vitro. "Senza dubbio, questi risultati suggeriscono un impatto diretto tra i livelli di oligoelementi non essenziali e i risultati del trattamento di fecondazione in vitro. E' ancora presto per andare oltre e vedere la sua origine, ma possiamo intuire che potrebbero essere associati a componenti frequenti nella nostra dieta. A tutto questo dobbiamo aggiungere la nostra esposizione a queste tracce non essenziali a livello ambientale", spiega la ginecologa Daniela Galliano, responsabile del Centro Pma Ivi di Roma. "Sebbene i risultati siano ancora preliminari e devono essere confermati in un gruppo più ampio di partecipanti, possono indicare una possibile correlazione legata a fattori ambientai e di stili di vita e il successo in un trattamento di riproduzione assistita", conclude. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)