(Adnkronos) – Il prodotto cozza di Marina di Ravenna è riconosciuto dal marchio “La Selvaggia di Marina di Ravenna” di titolarità delle cooperative di pesca La Romagnola e Nuovo Conisub. Con l’utilizzo di questo marchio viene garantita la valorizzazione del prodotto attraverso tutte le fasi, dalla raccolta fino alla distribuzione al dettaglio. La cozza Selvaggia cresce libera e viene raccolta a 12 metri di profondità, al largo, dove l’acqua è più pulita, ancorata naturalmente ai piloni delle piattaforme offshore, veri e propri atolli artificiali, ampie aree protette dove la pesca non è consentita e dove prorompe la biodiversità marina.
Per pescare la cozza selvaggia servono sub specializzati (brevetto OTS (Operatore Tecnico Subacqueo). A Marina di Ravenna ci sono otto barche, di due cooperative, con una quarantina di sommozzatori. “Per diventare pescatori subacquei – spiega Sauro Alleati, presidente cooperativa La Romagnola – si deve diventare tecnico subacqueo cioè fare un corso di specializzazione con attrezzatura particolari, tutto quanto è molto più complicato, costoso e difficile di quanto si pensi. A Marina di Ravenna abbiamo una forma di pesca che esiste solo qua.” Alleati pesca le cozze da 40 anni. “Una volta andavamo a raschiare le piattaforme, per la salute dei piloni di ferro e per togliere i corpi estranei, anche in inverno” Sulla raccolta di quest'anno buone premesse, anche se è presto per fare bilanci "L'anno scorso è stato un anno disastroso, perché con il caldo che ha riscaldato l'acqua in modo anomalo e la salinità, non piovendo mai, i fiumi non portavano acqua dolce, la costa era molto salata. Questo ha indebolito le cozze, ma quest'anno sulla quantità ancora non sappiamo, ma abbiamo certezze sulla qualità, che sarà altissima”.
Una volta che le cozze arrivano sulla barca viene subito avviata la prima lavorazione del prodotto: si staccano tra loro, si lavano dal limo e si esegue un lavaggio più accurato tramite un macchinario che separa il prodotto idoneo da gusci rotti, cozze piccole, granchietti, bavose, gamberetti e residui. Lo scarto finisce nuovamente in mare. La fase successiva prevede il confezionamento in sacchi di rete da 20-25 chili, che saranno poi riaperti per un ulteriore lavaggio e per essere poi suddivisi dai grossisti in pacchi per i ristoratori e per le pescherie. All’attracco della “cozzara”, il camion frigo carica le cozze per immetterle sul mercato. L’idoneità alla distribuzione del prodotto è garantita dai controlli periodici che la AUSL ROMAGNA esegue a rotazione in tutte le piattaforme, per tenere sempre sotto controllo lo stato di salute delle acque nelle quali crescono le cozze. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)