Se fosse sfuggito a qualcuno, oggi Sergio De Caprio, Capitano Ultimo, responsabile del Dipartimento Diritti e Legalità del Nuovo Sindacato Carabinieri, ha dovuto affrontare alla Corte militare di Appello di Roma il secondo grado di giudizio per la denuncia di diffamazione militare aggravata di cui è stato vittima da parte dell’ex comandante generale dei Carabinieri, Giovanni Nistri, contestatagli per un post su un sondaggio da utilizzare in chiave sindacale. Bisogna aggiungere che già il primo grado aveva stabilito che il fatto non sussiste, che il Capitano Ultimo non poteva essere condannato perché semplicemente voleva conoscere cosa pensassero i Carabinieri circa il comportamento dell’ex comandante a proposito della revoca della sua scorta.
Per ricordare il contendere, il Colonnello De Caprio nel 2019 chiese in un sondaggio, da utilizzare in chiave sindacale, se un comandante generale (dei Carabinieri) che delega la sicurezza di un Carabiniere (il Capitano Ultimo) al prefetto fosse da considerarsi ancora un comandante militare o un funzionario.
La Procura Militare fece ricorso avverso la sentenza di primo grado, ma proprio oggi la Corte Militare di Appello ha confermato la sentenza, dando per l’ennesima volta torto al ricorrente e alla teoria che si possa aver un approccio militare alle istanze sindacali dei Cittadini con le stellette.
Per far capire come le gerarchie militari hanno sempre interpretato i tentativi dei militari di chiedere giustizia quando vittime di azioni amministrative che invadono le vite professionali e private, ieri, durante il processo di depistaggio per la vicenda Cucchi, l’avvocato Carta ha ricordato, leggendolo, l’intervento del generale Roggio, allora direttore generale del personale militare, che nel 2009, davanti alla commissione Difesa del Senato, proponeva di togliere il diritto a reagire alle sanzioni o ai trasferimenti, vista la vittoria del 95% della amministrazione militare nei contenziosi, limitando una volta per tutte le formule di accesso alla giustizia ai Cittadini Militari.
Al di là della ovvia sproporzione nelle possibilità economiche di un qualsiasi militare che voglia opporsi a chi probabilmente confonde, e potrebbe interpretare in maniera oppressiva, il ruolo e le responsabilità (anche etiche e morali) di comandante di uomini, specificato perfettamente nell’articolo 725 del codice di ordinamento militare, credo sia chiaro il concetto che permea questo tipo di filosofia, ovvero la intenzione di perseguire qualsiasi Italiano che, indossando delle stellette sul proprio abito di lavoro, osi contrastare atti discriminanti, vessatori e discrezionali, che nulla hanno a che fare con la trasparenza e la meritocrazia (valori che qualsiasi Istituzione, particolarmente se pubblica, dovrebbe perseguire e mettere al centro dei suoi rapporti interni).
Ora sembra quasi strano che nel ventunesimo secolo, nel 2022, bisogna continuare a tornare su questi temi, ma non è proprio più possibile rimandare la necessità di porre un freno costituzionale a questi comportamenti vessatori, ridando la giusta dignità di Cittadini anche ai militari. Ricordiamo che solo nel 2018 la Corte Costituzionale si è resa conto che i militari non potevano associarsi per tutelarsi, che solo ai militari venivano negati diritti costituzionali riconosciuti a tutti gli Italiani, dando obbligo al Parlamento di colmare il vuoto legislativo.
Il Nuovo Sindacato Carabinieri chiede la promulgazione in tempi rapidi della legge sulle relazioni sindacali attualmente in discussione in terza lettura alla Camera di deputati, che seppure abbia sposato in pieno queste teorie degli stati maggiori, ascoltando quasi per nulla le istanze dei sindacati auditi durante i lavori, darà finalmente l’agibilità sindacale negata anche dopo la sentenza della Corte, già da quasi quattro anni. In questo modo si potrà combattere in maniera più efficace contro le ingiustizie che devono sopportare i militari italiani, evitando che i Carabinieri siano soli quando combattono per ristabilire diritti violati.
Fermiamo l’idea di alcuni che possa ancora esistere il reato di lesa maestà, una filosofia che deprime e lede quel senso di appartenenza e che fa venire meno la passione e la serenità necessarie per svolgere il nostro magnifico lavoro sociale nello stare tra la Gente, per la Gente. È inaccettabile che chi tutela i diritti degli Italiani non possa difendere i propri. L’attuale Comandante Generale, il generale Luzi, che ha proprio incentrato uno dei suoi ultimi interventi su questi valori, traduca in azioni concrete il suo pensiero e aiuti realmente un processo di progresso in questo senso. Noi siamo pronti a dare il nostro sostegno.
Ai Colleghi che ancora continuano ad avere i piedi in due staffe, che ancora rivestono incarichi nei cobar e nei cocer (organi della rappresentanza militare, pagata dagli stati maggiori) e contemporaneamente sono dirigenti sindacali nelle sigle già riconosciute, ricordiamo l’articolo 17 dello Statuto dei Lavoratori e gli chiediamo di decidere da quale parte vogliano stare, se di fianco al datore di lavoro o dall’altra parte del tavolo, vicino ai Colleghi, in maniera terza e indipendente. Dimettetevi se credete nei valori solidali del sindacato, date un segnale di rottura, accelerando un processo ormai inarrestabile. Ognuno di Noi è quello che fa, mai quello che dice.