La questione suicidi nell’arma è oramai all’ordine del giorno, i casi si susseguono senza sosta.
Pur essendo un argomento molto delicato, non ci si può astenere dal fare delle considerazioni.
Di recente, l’Arma dei Carabinieri ha comunicato che avrebbe avviato un servizio dedicato ai quei Colleghi che hanno materialmente e concretamente bisogno di ascolto.
Ma in contrasto a questa intenzione, ancora oggi, un collega che ha manifestato un suo disagio emotivo all’amministrazione, ha ricevuto l’unico provvedimento che conosciamo da anni: ritiro immediato di pistola e tesserino e posto a disposizione dall’infermeria, aggiungendo stress allo stress. È chiaro che questa formula disincentiva il ricorso a quelle strutture legate all’amministrazione da vincoli gerarchici, che cozzano contro i dettami della professione medica.
Riteniamo che la questione vada affrontata in tutt’altra maniera, ad esempio pensiamo ad una rete di sostegno composta da professionisti esterni all’amministrazione che, mantenendo il segreto d’ufficio, possano iniziare un percorso con l’assistito già nella fase primordiale.
Pensiamo ad un reimpiego immediato di chi subisce momenti di instabilità emotiva, di chi manifesta fenomeni di BURNOUT, alla stregua dei parzialmente idonei. Il tutto per evitare che Carabinieri in sofferenza abbiano il timore di vedersi privato di quel che rappresenta a volte anche una valvola di sfogo, ma soprattutto un recupero psichico, cioè l’esercitare la propria professione.
Il Nuovo Sindacato Carabinieri vuole essere presente al tavolo sui suicidi istituito al comando generale per portare delle proposte concrete, quelle che i Colleghi continuano a proporre, per provare a contrastare le situazioni sofferte e denunciate dai Carabinieri.
Generale Luzi, non si faccia attendere, il silenzio nuoce.