Bruno Torrisi, nasce a Giarre in provincia di Catania, si diploma giovanissimo alla Scuola D’Arte Drammatica del Teatro. Lo amiamo da sempre per le grandi interpretazione in diverse fiction tv di successo, dal Questore Licata di Squadra Antimafia, al Commissario Montalbano, Paolo Borsellino, Il capo dei capi, Boris Giuliano e moltissime altre. Ha recitato in teatro con la regia di Armando Pugliese. Al cinema è stato diretto dai registi più importanti, da Giuseppe Tornatore a Marco Tullio Giordana, Marco Bellocchio e il grande Franco Battiato in “Perdutoamor”.
Quando nasce la sua passione per la recitazione?
E’ una storia lunga, mi sono presentato al provino di ammissione alla scuola d’arte drammatica del teatro Stabile di Catania più per gioco che per passione, non pensavo diventasse il mio lavoro, fare teatro non lo consideravo un lavoro possibile. In quel periodo volevo coltivare fiori, il florovivaista era il mestiere che avevo scelto. Sognavo tunnel e bancali riscaldati, migliaia di vasetti fioriti e profumati. Ma mio padre, che sognava per me una carriera da laureato, quando capì che alla laurea preferivo la mia indipendenza, pur di non vedermi ritornare a casa con le mani sporche di terra mi convinse ad accettare l’opportunità imprevista della scuola di teatro. Come ho detto prima, mi presentai a quel provino per gioco, per curiosità, mai pensando che l’avrei superato. Mio padre si ammalò gravemente e mi fece promettere che avrei provato a farlo seriamente. Furono due anni che mi stravolsero la vita: mio padre morì dopo il primo anno, conobbi un “palco” di nuovi amici, lessi tanto pur restando molto lontano dall’aver capito di cosa si trattasse, il teatro non lo conoscevo, forse non c’ero mai stato, ma più sudavo e più mi piaceva, avevo coscienza del mio grado di talento, zero, ma mi lasciai ammaliare, una sorta d’incantesimo mi convinse a continuare, pensando sempre di poterlo abbandonare quando ne avessi avvertito la necessità: sei mesi senza lavorare e sarei tornato ad annaffiare i miei fiori. Ed eccomi qua. Oggi un po’ rimpiango il mio sogno fiorito e nel terrazzo ho il mio piccolo gruppo di piante e fiori da curare.
Come lavora il personaggio da interpretare?
Di solito parto dal vederlo con l’immaginazione, come cammina, come si muove. Cerco di vedere il personaggio come se dovessi dirigerlo da regista più che interpretarlo. Poi passo in rassegna quel po’ di rudimenti di tecnica cinematografica che con il tempo e l’esperienza credo, ma non ne sono sicuro, di aver assimilato. A teatro è diverso, leggi la parte cento volte, hai più tempo per inventare, devi conoscere il tuo personaggio e quello degli altri in maniera più meticolosa. Mentre al cinema ed in TV devi lasciare qualcosa di non risolto, devi dare spazio anche all’imprevisto, all’irripetibile. Non credo di essere un bravo attore però ci sono stati momenti, brevi, in cui ho veramente amato questo lavoro.
Le piacerebbe ritornare a Teatro?
Io faccio sempre teatro, non l’ho mai veramente abbandonato o tradito per la fiction, ma è vero che vorrei tornare a farne sempre di più. Ultimamente faccio teatro con spettacoli di nostra ideazione, mia e di mia moglie, riuscendo così a fare quello che ci piace, ma questo periodo di pandemia sta distruggendo i sogni di tanti. Faccio teatro promuovendolo nelle scuole, spesso i miei spettacoli sono di divulgazione, c’è bisogno di coltivare un nuovo pubblico, proprio come i fiori, c’è da cambiare il terriccio, da concimare con la bellezza un terreno inaridito e lasciato incolto da troppo tempo. Oggi molta gente non conosce più il teatro, non sa più cosa è la lirica, il cinema d’autore, la musica classica e la pittura. Bisogna ripartire da zero, smetterla di sollazzare il pubblico, di distrarlo, l’arte non è un passatempo, l’arte è il nostro tempo. Se il teatro torna ad essere poesia, sogno, impegno civile, dedizione allora sì mi piacerebbe tornare a teatro.
Ha sempre interpretato ruoli importanti in fiction poliziesche, dal Commissario Montalbano a Paolo Borsellino, Carabinieri, Ris 4 e moltissime altre. Predilige per il poliziesco?
Il poliziesco è un genere che mi piace moltissimo, ma mi piace anche l’avventura, il documentario, il drammatico, il fantascientifico, non amo l’horror né i film troppo computerizzati. Sono un romantico prediligo ancora la pellicola. La sceneggiatura è molto importante per me, il linguaggio scelto è fondamentale e soprattutto la fotografia. Se ci sono tutte queste cose il “genere” alla fine fa poca differenza.
Un grande attore siciliano, amato nel ruolo del Questore Licata in Squadra Antimafia. Un suo ricordo del set poliziesco?
Un giorno mi trovavo a girare all’interno di un carcere nei dintorni di Roma, mentre aspettavo un cambio scena fumando una sigaretta, mi fermò chiamandomi un recluso che fingeva di rastrellare le aiuole per potersi avvicinare e in maniera simpatica, mi disse che era stato mandato nel cortile per portarmi i saluti e i complimenti degli altri reclusi, confidandomi che il mio personaggio era uno dei loro preferiti. La cosa mi stupì molto. “Ma nella fiction sono un poliziotto” risposi sorridendo “dovrei essere antipatico per loro”. “Quello che dovevo dire l’ho detto” rispose “adesso vado che se mi trovano qui rischio una bella punizione”. Che dire? Per un po’ quel giorno pensai a loro che ogni settimana seguivano tutte le puntate nella sala TV del penitenziario.
Lei è nato a Giarre, nella splendida Sicilia.
Paolo Borsellino della Sicilia diceva: “la mia terra bellissima ma disgraziata”. Per lei la Sicilia cosa rappresenta?
La Sicilia per me è casa. Ogni volta ritorno perché profondamente voglio ritornare e mi ritorna il magone. La Sicilia è come una casa dove ci sono stati i ladri, tutto è fuori posto, saccheggiato, rotto, deturpato, offeso. La Sicilia è come una casa dove sono state uccise tante persone, piena di sangue e di ingiustizie sparse per il pavimento. Rimane una delle più belle case al mondo, con i suoi arredi, con i suoi giardini, con i suoi mari, con i suoi profumi continuamente deturpati dai suoi stessi abitanti.
Lo scorso 3 settembre è stato l’anniversario della Strage di Via Carini, dove nel 1982 la Mafia uccise il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Cosa ricorda di quel giorno?
Ricordo di quei giorni le facce spaventate, invase da una impotente rassegnazione. Ancora una volta si colpiva lo stato, cioè tutti noi. Sconcertati dall’affronto, dal gesto così efferato, dalla spudoratezza di stare dalla parte sbagliata a voler dettar legge. La cosa più terribile è che quella mano violenta non si fermò, per molto tempo continuò a fare strage di chi non ha mai voluto dargliela vinta. Non è cambiato molto, ma quello che è cambiato lo dobbiamo a loro.
In ultimo, la nostra rubrica è dedicata a due grandi poliziotti morti in servizio “Pierluigi e Matteo”. Un suo messaggio di vicinanza a tutte le Vittime in Servizio e le loro famiglie.
C’è tanto bisogno di ricordare sempre questi eroi affinché mai più si muoia così ingiustamente. Hanno difeso con la vita la nostra sicurezza, la nostra democrazia, la nostra libertà. Nulla potrà consolare il dolore dei loro cari ma a loro, abbracciandoli, direi GRAZIE.