Diverse sono state le reazioni a seguito di quanto avvenuto all’esterno della stazione Termini, a Roma, qualche settimana fa. Lo ricordiamo tutti l’extracomunitario armato di coltello che ha seminato il panico tra i passanti e ha minacciato i poliziotti.
Si chiama Ahmed Ibrahim, ha 44 anni, dice di essere ghanese, ma le autorità consolari non lo hanno mai riconosciuto loro cittadino, motivo per il quale non è stato possibile espellerlo dal territorio nazionale.
Eppure, il 44enne, di richieste di espulsione a carico ne ha ben 3, oltre a 6 richieste di allontanamento dal territorio emesse da diverse questure. Amhed Ibrahim delinque in Italia dal 2004, ha diversi precedenti, ed ha a suo carico una segnalazione come sospetto jihadista, in quanto faceva proselitismo in carcere.
L’ultimo atto delinquenziale quello all’esterno della stazione Termini che ha visto uno dei poliziotti della Polfer intervenuti, costretto a sparare.
Colpito a una gamba, il 44enne se l’è cavata e se l’è cavata anche penalmente. È caduta infatti l’accusa di tentato omicidio. Restano solo minacce e resistenza a pubblico ufficiale. Per il poliziotto, invece, è stato aperto un fascicolo di indagine per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi: il cosiddetto “atto dovuto”.
Ma quanto costa a un poliziotto l’atto dovuto? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Antonello Madeo, legale del sindacato di polizia Mosap (Movimento Sindacale Autonomo di Polizia), che si è detto con la sigla sindacale, disponibile a difendere gratuitamente il poliziotto.
Antonello Madeo, avvocato penalista, è anche un docente universitario di diritto e procedura penale presso la facoltà di scienze politiche e delle relazioni internazionali, investigazioni e sicurezza dell’Università degli Studi della Tuscia. Sempre qui, è professore incaricato di ordinamento giudiziario e penitenziario e docente di diritto penale e procedura penale al
master di I livello, in scienze criminologiche e forensi, investigazioni e sicurezza. Con l’avvocato Antonello Madeo, il Mosap è stato il primo sindacato in Italia ad essere riconosciuto parte civile nelle vicende in cui viene leso il cosiddetto patrimonio morale dell’ente relativamente all’accoltellamento del poliziotto Yuri Sannino a Tor Bella Monaca.
Avvocato, è stato proposto dal sindacato di polizia MOSAP per difendere il poliziotto che ha sparato a Termini e lei ha accettato di farlo gratuitamente. Perchè?
Anzitutto perché credo fermamente che una organizzazione sindacale possa tutelare una categoria particolare come quella delle forze dell’ordine, non soltanto occupandosi di tessere, permessi e straordinari; è fondamentale stringersi intorno al poliziotto coinvolto in “sinistri” connessi al servizio, facendolo sentire non solo singolo operatore ma parte di un gruppo, proprio in momenti come quello che – suo malgrado – sta vivendo l’agente coinvolto nella vicenda della Stazione Termini.
Si spiega così perché il Mosap – attraverso il mio ministero, primo caso nel nostro Paese – è stato già riconosciuto parte civile nelle vicende in cui viene leso il cosiddetto patrimonio morale dell’ente, a sostegno della magistratura inquirente e delle vittime del reato, come nella vicenda di Yuri Sannino, l’agente ferito gravemente a Tor Bella Monaca durante un intervento a tutela di una donna.
Mi capita spesso di assistere appartenenti alle forze dell’ordine e armate per vicende connesse allo svolgimento del servizio, e molte volte percepisco il disorientamento dell’operatore, abbandonato a sé stesso, con effetti immediatamente negativi sul piano personale, familiare, disciplinare, e giudiziario, oltre che naturalmente economico, perché non tutti possono permettersi una tutela legale di grande profilo, con gli stipendi che percepiscono.
Ecco perché quando il Mosap mi ha chiesto di offrire tutela all’agente della Polfer, non ho esitato ad aderire – nel rispetto nei miei doveri deontologici -, anche perché molto spesso viaggio in treno per lavoro, e percorro proprio la via interessata dal caso di specie, quindi potevo esserci io tra quei passanti minacciati dal cittadino ghanese.
Cosa pensa del fatto che il poliziotto sia stato indagato?
Non conosco quali siano i termini effettivi della vicenda procedimentale, ma dalla cronaca giudiziaria pare che l’agente sia allo stato indagato per eccesso colposo da uso legittimo delle armi, sulla scorta di una iscrizione che viene liquidata da tutti come “atto dovuto”.
Sul punto è bene intendersi proprio alla luce della circolare n. 3225/17 Prot. Gab. TAB del 2.10.2017, a firma dell’allora Procuratore di Roma, dott. Giuseppe Pignatone.
La disciplina regolante le iscrizioni presso la Procura capitolina valorizza la circostanza per la quale
l’attività che compete all’ufficio del p.m. non è meramente ricognitiva, come può ricavarsi, tra l’altro, dalla stessa formulazione dell’art. 109 disp. att. c.p.p..
Come riconosciuto, in più occasioni, dalla Corte di Cassazione è compito precipuo ed esclusivo del pubblico ministero la valutazione in ordine al contenuto degli atti che possono contenere notizie di reato, valutazione che si presenta talora anche estremamente complessa e che, comunque, esige, non di rado un lavoro di esame della documentazione e degli atti variamente impegnativo.
È evidente, di conseguenza, la funzione di garanzia che riveste l’iscrizione all’interno del procedimento, atteso che non può essere trascurato come la “condizione di indagato” sia connotata altresì da aspetti innegabilmente negativi, tanto da giustificare la previsione di un termine delle indagini preliminari.
Quanto può costare a un operatore delle forze dell’ordine un “atto dovuto”?
Tantissimo. Sotto più punti di vista.
Anzitutto sotto il profilo personale, l’operatore sottoposto ad indagini vive con frustrazione la lente d’ingrandimento della magistratura sul proprio operato.
Sotto quello familiare, vive con vergogna il finire sulla gogna mediatica.
Ma il problema vero è sotto il profilo giuridico, sia disciplinare – perché viene subito aperto un fascicolo che nelle migliori delle ipotesi viene sospeso sino alla definizione di quello penale, ma che impedisce promozioni e quant’altro – e giudiziario – perché non sempre i tempi della giustizia ordinaria sono compatibili con una definizione agevole del caso -.
L’operatore in pratica – e capita molto spesso – a causa del sinistro di servizio si trova in balia di diversi procedimenti per anni.
Secondo lei, i poliziotti hanno adeguate tutele legali?
Direi più che altro che i poliziotti hanno una tutela legale non dissimile rispetto agli altri dipendenti dello Stato per fatti connessi allo svolgimento del servizio, nonostante siano maggiormente esposti al “rischio sinistro”, affrontando ogni giorno insidie professionali di ogni genere.
In breve: la legge consente al poliziotto di ottenere un rimborso delle spese legali – che quindi deve anticipare di tasca propria – ma solo se viene archiviato, prosciolto od assolto con la formula più ampiamente liberatoria (il fatto non sussiste, non lo ha commesso, non costituisce reato). La normativa viene resa ancor più farraginosa, dal dovere dell’operatore di comunicare subito all’ente il nome del legale, che deve quindi essere “gradito” all’amministrazione, e può ottenere un rimborso solo di spese contenute ai minimi tariffari.
La conseguenza è che difficilmente un professionista di notevole profilo accetti incarichi di questo tipo, che peraltro non sono soggetti a rimborso nel caso, ad esempio, di definizione del procedimento per prescrizione.
Né è pensabile che per tutte le ipotesi non coperte dalla legge dello Stato l’operatore possa contrarre una polizza assicurativa, perché con lo stipendio che percepisce non avrebbe la capacità di pagare il premio richiesto.
Da qui, tornando all’agente della Polfer di Termini, la proposta del Mosap di assistenza gratuita, ben conscio che, spenti i riflettori, l’operatore si troverà a fronteggiare da solo le conseguenze di un atto reso nell’espletamento del doveroso servizio, i cui effetti temporali sono spesso non brevi ed imprevedibili.
Quando l’uso delle armi è legittimo?
L’uso legittimo delle armi è una causa di esclusione dell’antigiuridicità, quest’ultima intesa come rapporto di contraddizione tra il fatto tipico e l’intero ordinamento giuridico; tale rapporto di contraddizione viene meno se in un qualsiasi luogo dell’ordinamento, per soddisfare le più diverse finalità, esiste una norma che prevede appunto una causa di giustificazione, cioè una norma che facoltizza o rende doverosa la realizzazione di quel fatto tipico; in tal caso il fatto è lecito e lo è in qualsiasi settore dell’ordinamento e quindi non può essere assoggettato ad alcun tipo di sanzione .
L’articolo 53, comma uno, del codice penale disciplina l’uso legittimo delle armi in un caso come quello oggetto della vicenda della stazione Termini.
L’uso legittimo delle armi è legittimo allorquando la Forza Pubblica fa uso delle armi o di altri mezzi di coazione fisica essendovi costretta dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità o la commissione di reati particolarmente gravi.
Secondo la giurisprudenza di legittimità detta scriminante è configurabile anche quando l’attività dell’agente è posta in essere nel corso della fuga dei malviventi, purchè detta fuga non sia finalizzata esclusivamente alla conservazione dello stato di libertà ma, per le sue modalità, determini l’insorgere di pericoli per l’incolumità di terzi.
È opinione condivisa in dottrina e in giurisprudenza quella secondo la quale, invero, benché non espressamente previsto, l’uso delle armi dev’essere proporzionato sia al tipo che al grado della resistenza opposta, in quanto anche l’Autorità dello Stato è sottoposta ai principi supremi dell’ordinamento giuridico e, quindi, al rispetto di una rigorosa gerarchia dei valori desumibili dalla Carta Costituzionale: di conseguenza, per la configurabilità della scriminante dell’uso legittimo delle armi occorre che non vi sia altro mezzo possibile e che tra i vari mezzi di coazione venga scelto quello meno lesivo.
L’assenza dei presupposti della scriminante, in specie del bisogno di rimuovere il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, impedisce di ravvisare l’eccesso colposo, che si caratterizza per l’erronea valutazione di detto pericolo e della adeguatezza dei mezzi usati.
Detto principio, costantemente affermato in materia di legittima difesa è pacificamente applicabile anche in materia di uso legittimo delle armi, atteso il suo carattere generale e considerate le corrispondenze, sul piano strutturale e funzionale, tra le due cause di liceità.
Nondimeno, nel caso in cui l’agente si sia erroneamente rappresentato l’esistenza dei presupposti per l’uso legittimo delle armi (o per la legittima difesa), verrà a determinarsi una situazione di putatività, la quale, secondo i principi ricavabili dall’art. 59 c.p., comma 4, sarà suscettibile di escludere ogni responsabilità del soggetto nel caso in cui l’errore non sia determinato da colpa, lasciando residuare una responsabilità colposa nell’ipotesi contraria.
A tal fine, l’accertamento deve essere effettuato con un giudizio ex ante calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione, di carattere relativo e non assoluto e astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sè considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sè o altri da un’ingiusta aggressione.
Nel caso di specie, secondo Lei?
Da avvocato penalista e da docente universitario di diritto penale ritengo che la condotta dell’agente Polfer – per come emerge dalla cronaca – sia stata in linea con i parametri dell’art. 53 del codice penale.
Si trattava di vincere la resistenza di un soggetto pluri pregiudicato o segnalato – peraltro se ho ben capito, per fatti di matrice terroristica, tradizionalmente determinati dall’uso di armi bianche… – armato di un coltello – che per consistenza è in grado di trapassare senza fatica gli indumenti in dotazione alla Polizia di Stato – ed in evidente stato di agitazione, quindi imprevedibile – tanto che dalle immagini disponibili in rete si vede che cerca di lanciarsi verso gli agenti a mò di sfida -.
L’operatore per neutralizzare l’aggressore ha mirato agli arti inferiori utilizzando la pistola in dotazione al Corpo, che per natura è provvista di colpi trapassanti, quindi difficilmente mortali, salvo naturalmente attingano organi vitali.
Cosa altro avrebbe dovuto fare l’agente? lasciare che l’aggressore entrasse nella stazione, magari prendendo qualcuno in ostaggio, o seminando il panico tra i numerosi avventori, tra cui bambini inermi? Provi ad ipotizzare questo tipo di vicenda fuori dai nostri confini, anche senza per forza guardare oltre oceano, visti gli ultimi episodi di cui è stata protagonista la Polizia negli USA.
Come avrebbe agìto la Polizia in Paesi vicini come la Germania o la Francia? o in Austria?
Taser o non taser, le forze di Polizia avrebbero agìto in maniera decisamente più energica, e nessuno avrebbe mosso rilievi sulle modalità di neutralizzazione dell’aggressore, in nome della sicurezza pubblica. Nel nostro Paese invece il pericolo scampato solleva polemiche e perplessità sull’operato delle forze di Polizia.
Per il ghanese è caduta l’accusa di tentato omicidio. Questo può complicare la situazione del poliziotto?
Premesso che in questa fase il capo d’incolpazione è ancora provvisorio, e la magistratura inquirente può modificare l’accusa sulla scorta di successive emergenze, direi di no. A prescindere dal tipo di reato che l’aggressore poteva porre in essere, poiché era armato di un coltello – arma idonea a perforare le divise della Polizia – e non era affatto remissivo, l’utilizzo dell’arma per neutralizzarlo secondo me può esssere serenamente sussunta sotto l’uso legittimo delle armi.
Non si può parlare, a mio modesto avviso, di eccesso colposo, alla luce dei mezzi messi in campo, altrimenti bisogna ritenere che l’arma in dotazione alla Polizia di Stato non debba mai essere utilizzata, perché sproporzionata rispetto a chi non aggredisce con arma da sparo. Comprenderà bene come questa conclusione sarebbe aberrante, perché l’art. 55 del codice penale è stato introdotto nel 1930, quando nel nostro Paese non era così frequente aggredire le forze dell’ordine armati di pistola….
Lei, professionalmente parlando, è spesso dalla parte dei poliziotti…
In realtà sono anche Docente alla Scuola di Formazione della Guardia di Finanza e scrivo per la rassegna dell’Arma dei Carabinieri, direi che sono per la legalità.
È evidente che in un caso come questo mettere in dubbio la legittimità dell’operato di un agente di Polizia reo di aver neutralizzato, con mezzi proporzionati e congrui rispetto alle circostanze di fatto, un aggressore armato di coltello, in stato di evidente agitazione in una zona affollata di avventori, mi pare francamente eccessivo.