Il tritolo di Cosa nostra aveva spento il sorriso di Vincenzo.
Dopo la strage di Capaci, costata la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti di scorta, però, qualcosa era cambiato. In quei 57 giorni che lo separavano dalla morte Vincenzo Li Muli, Agente della scorta del Giudice Borsellino era diventato pensieroso – dice la sorella Sabrina all’Adnkronos -. “Non ci aveva mai detto che faceva la scorta a Borsellino. Ma nell’ultimo periodo non era sereno, passava le notti insonni e a mia sorella, più piccola di lui di due anni, aveva chiesto di pregare insieme la sera. Solo dopo, mettendo insieme tutti questi tasselli, abbiamo compreso quello che stava vivendo“. Non si era confidato Vincenzo. Con la paura, forse, aveva imparato con convivere nonostante la sua giovane età. In caserma il servizio di scorta a Borsellino era segnato con una croce. “Tutti sapevano che era il più pericoloso in quel momento“, dice la sorella.
La voglia di lottare per ottenere giustizia lei, però, non l’ha persa. “Perché i ragazzi devono poter avere un futuro, perché lo Stato non è tutto marcio, perché mio fratello, gli altri ragazzi della scorta e il giudice Borsellino in quel cambiamento hanno creduto fino alla fine“.
Si arriverà mai alla verità? “Spero di sì, me lo auguro per la loro memoria perché altrimenti li avranno uccisi due volte“. Un traguardo, però, sempre più difficile da raggiungere perché “i testimoni di quei giorni a poco a poco non ci sono più. Perché le coscienze dei colpevoli, di chi sa cosa è successo e ha taciuto in tutti questi anni, restano silenziose. Mi auguro con tutto il mio cuore che si possa arrivare finalmente alla verità però, davvero, oggi non ne sono più così certa“.