A cura di: Avv. Eugenio Pini e Avv. Federica Casale
A seguito del caso Floyd, che sta infiammando l’opinione pubblica non solo degli Stati Uniti ma del mondo intero, appare utile approfondire il tema dell’uso delle armi e della coercizione fisica e da parte delle Forze di Polizia.
La norma di riferimento è l’art. 53 c.p., che prevede la non punibilità del pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque di impedire la consumazione di una serie di delitti contro l’ordine pubblico particolarmente gravi e tassativamente elencati dalla norma stessa.
Il fondamento giuridico di tale scriminante si individua nel potere di coazione dello Stato, tipica espressione della sua sovranità e del connesso principio di esecutorietà degli atti amministrativi. In particolare, rappresenta un’ipotesi di esercizio dell’autotutela esecutiva della pubblica amministrazione, attraverso la quale la pretesa dell’Amministrazione viene soddisfatta con il ricorso diretto all’uso della forza per rimuovere l’ostacolo frapposto dal cittadino alla realizzazione degli scopi a cui tende l’Autorità.
È importante sottolineare che l’ipotesi in esame si differenzia dalla legittima difesa perché il soccorso difensivo è facoltativo (l’art. 52 c.p., infatti, tutela beni individuali) mentre l’uso delle armi, nei limiti previsti, è doveroso (l’art. 53 c.p. protegge, invece, beni superindividuali).
Le condotte che devono essere vinte dal pubblico ufficiale e che lo legittimano ad impiegare le armi o la coercizione fisica sono la violenza – rivolta nei confronti del pubblico ufficiale stesso o di cose o persone che questi ha il dovere di tutelare – o la necessità di vincere una resistenza (c.d. situazione necessitante). Rileva in questo senso sia la resistenza attiva che la resistenza passiva, quale la fuga, quando le modalità sono tali da porre in pericolo l’incolumità di terze persone e sempre che l’uso delle armi è opportunamente graduato secondo le esigenze del caso e nel rispetto del principio di proporzione e se non è possibile ricorrere ad un altro mezzo di coazione di pari efficacia ma meno rischioso. Inoltre, occorre che la reazione sia necessaria e non il frutto di una libera scelta: il P.U. non deve avere altra opzione, per adempiere il proprio dovere, che usare il mezzo coercitivo. La scriminante non si configura, pertanto, se gli ostacoli che si frappongono all’adempimento del dovere sono eliminabili diversamente rispetto all’utilizzo delle armi o della forza fisica. Ciò comporta anche l’esigenza di una gradualità nella scelta dei mezzi utilizzati: ove siano sufficienti mezzi coercitivi più blandi per assicurare l’adempimento dei propri doveri funzionali, va evitata l’utilizzazione di quelli più drastici (o addirittura delle armi) in quanto, appunto, non necessaria.
Ai fini dell’operatività dell’art. 53 c.p. è necessario, infine, che sussista un rapporto di proporzione fra la condotta del P.U. e quella di chi si oppone all’adempimento dei doveri d’ufficio.
La proporzione costituisce un limite generale di operatività della causa di giustificazione superato il quale il diritto di autotutela diventa abuso del diritto.