Torino, insieme alla mamma faceva un gioco con alcol e altre sostanze pericolose. Era ricoverato da più di un mese
Il corpo di Richi devastato dal fuoco: viso, braccia, addome. E le preghiere di mamma Silvia: «Santa Rita, prega per noi». Le indagini della Procura che adesso vuol capire se c’è qualcuno che ha responsabilità per ciò che è capitato. E le parole spezzate di papà Piero che, ieri alle 13, tra un singhiozzo e l’altro, confida a chi lo chiama sul telefonino: «Richi non c’è più, è mancato questa mattina, verso mezzogiorno. Pregate per lui».
Tapparelle abbassate al primo piano della casa di Collegno dove abitavano Riccardo Celoria, 11 anni, e sua mamma Silvia. La bandiera italiana, attaccata alla ringhiera con le mollette per il bucato, è rimasta dov’era da quel dì. «Qui non è più venuto nessuno» sussurrano i vicini. Nessuno da quella sera di 36 giorni fa: giovedì 28 maggio. Ecco, è esattamente quel giorno che sono iniziati lo strazio e la tragedia.
Sono le 22 passate da poco. Riccardo è in casa con la mamma e sta provando a replicare un esperimento scientifico trovato sul web. «Per la scuola» dirà mamma Silvia quando ormai Riccardo è in ospedale. Il tutorial sul web s’intitola «Il serpente del faraone». Facile da fare, dicono. Ma pericoloso. Bisogna mescolare un po’ di elementi. Quindi, con l’alcol, accedere un fuoco. Quella sera, quando Riccardo avvicina l’accendino al preparato, c’è un’esplosione. Una fiammata lo investe in pieno. Mamma Silvia è lì, a due passi. Forse sta filmando tutto con il cellulare. Urla. Grida così forte e così a lungo che i vicini corrono fuori casa, nel microscopico giardino su cui si affaccia sulla strada. E vedono mamma Silvia accanto alla porta-finestra che dà sulla veranda. È l’immagine della disperazione e dell’orrore. E vedono le fiamme danzare dentro la stanza, ma ancora non possono capire che cosa sta accadendo. Le urlano di sbloccare l’uscio di casa: «Silvia, Silvia, non possiamo entrare, aprici. Aprici».
Sono i giorni del lockdown, la città è ancora silenziosa: niente traffico, niente clacson, niente caos in giro. Le urla di Silvia e dei vicini arrivano ovunque. Dai palazzi lì accanto s’affacciano tutti. Qualcuno chiama i soccorsi. Riccardo viene portato all’ospedale infantile di Torino, il Regina Margherita. È gravissimo. Ha il corpo devastato dal fuoco: in 36 giorni sarà sottoposto ad un’infinità di cure e interventi chirurgici. È tenuto in coma farmacologico nel tentativo di salvargli la vita. Il suo viso il suo addome, le sue braccia sono devastate. La pelle sta diventando cuoio. Serve chirurgia e umanità, e quell’ospedale è il posto dove se c’è una chance di farcela Riccardo la può afferrare.
I carabinieri intanto cercano di capire cos’è accaduto in quell’appartamento. Ma ricostruire è complicato. Poi salta fuori un telefonino, forse con il video. E sulle scrivania del pm Laura Longo, in procura a Torino, arriva una denuncia firmata dal papà di Riccardo. Parla di un esercizio per la scuola. Pare concordato con l’insegnate che si occupa delle materie scientifiche. Papà Piero punta il dito contro chi lo ha autorizzato a farlo. Racconta di un messaggio vocale di Riccardo con il maestro: «Va bene questo?». La giustizia fa la sua strada. La mamma di Riccardo viene indagata. Questo non vuol dire che lei abbia una qualche colpa, ma la magistratura vuole capire come sono andate le cose. E vuol comprendere se quello era davvero un compito affidato a un bambino di quinta elementare, costretto come tutti i suoi compagni a casa oramai da due mesi. Non basta. Bisogna anche stabilire se era essenziale. E se Riccardo aveva abbastanza esperienza e conoscenze da capirne la pericolosità. E se Silvia ha fatto ciò che poteva, e sapeva, per proteggere quel suo bambino. «Ma certo che ha fatto di tutto. È una madre, insomma, come si può dire il contrario» s’indignano a Collegno. Certo che ha fatto di tutto, ma la giustizia ha le sue regole. Che vanno oltre l’emozione e il dolore. Oltre le lacrime e le giornate passate su una sedia d’ospedale a parlare a Riccardo, a fargli sentire i messaggi vocali dei suoi compagni di scuola: «Guarisci presto Richi, noi ti aspettiamo».
Il cuore di Riccardo Celoria s’è fermato ieri poco prima di mezzogiorno. La Procura ha già modificato gli articoli del Codice penale per cui si indaga. Mamma Silvia è tornata a vivere a casa dei genitori: nessuno vuole lasciarla da sola nella casa dove ha vissuto l’incubo peggiore che un genitore possa immaginare. Le tapparelle dell’appartamento dov’è iniziato questo strazio e dove s’è consumata tutta la tragedia, continuano a restare chiuse.
fonte lastampa