Non ha potuto bluffare con la morte. Ci ha provato fino alla fine, giocando la sua partita più importante senza mai tirarsi indietro, cambiando le carte in tavola, fingendo di avere in mano i quattro assi che gli avrebbero consentito di vincere la mano e aggiudicarsi il montepremi: una vita lunga e tranquilla tra le sue montagne, accanto ai genitori, ai fratelli, agli amici. Ma alla fine ha perso. Game over a soli 29 anni. Ne avrebbe compiuti 30 ad agosto. Matteo Mutti, casa a Tirano, in Valtellina, era un campione di poker, non un professionista, ma uno con tanto talento. Educato, posato, mai una parola fuori posto. È morto lunedì mattina ucciso dalle complicanze del coronavirus.
Di sfide nella sua vita Matteo Mutti ne aveva già vinte tante. Ad agosto dello scorso anno la terribile diagnosi: leucemia. Non si era arreso. In cura presso l’ospedale San Matteo di Pavia ha lottato come un leone, raccontano i parenti. La sorte sembrava finalmente avergli dato le carte giuste quando a gennaio si è trovato il donatore compatibile ed è stato sottoposto a un trapianto di midollo osseo. I genitori sempre accanto, avevano preso un appartamento vicino al nosocomio pavese. Due mesi di speranze fino a quando non si è ammalato di Covid. Eppure lui dava l’impressione di aver sconfitto anche l’ennesimo nemico, l’ultimo tampone era finalmente negativo.
Non è stato così, il 16 aprile il ricovero in terapia intensiva, danni irreparabili ai polmoni per le complicanze del virus. Ieri a Tirano nella chiesa parrocchiale di San Martino i funerali. In tanti si sono stretti a mamma Franca, papà Francesco, i fratelli più grandi Stefano e Martino, gli adorati nipotini. A piangerlo anche il mondo del poker, tavoli verdi veri o virtuali, dove il giovane campione aveva saputo imporsi a livello internazionale, in grado di inanellare risultati importanti. La vittoria nel Main Event del Wsop international circuit del 2016 a Campione d’Italia, il Main event dell’Italian poker tour conquistato a Nova Gorica nel 2015, un titolo Ipt e un side Ept con 40 bandierine in carriera: 300 mila dollari portati a casa dal vivo, senza contare i successi online.
Nel circuito del poker era famoso. Eppure dopo alcuni mesi trascorsi a Londra, era tornato in Valtellina dove lavorava nel negozio di ortofrutta del papà, non si era montato la testa, coscienzioso, timido, riservato. «Avesse avuto in mano lui il pallino della situazione, avrebbe vinto anche questa battaglia. Ne siamo sicuri», scrivono gli amici sulle pagine dei siti di settore. «Aveva sempre un comportamento impeccabile e una parola di conforto per tutti. Per questo la sua scomparsa lascia sconvolti chi lo aveva conosciuto nei vari circuiti live», le parole che si ripetono in rete. «Sapeva sempre ritagliarsi la sua posizione dominante. Sarà stato per i suoi quasi due metri di altezza, la prestanza fisica, lo sguardo furbo, ma leale. Si era conquistato il rispetto degli avversari», aggiunge il giocatore di poker Cesare Antonini.
Poi gli ultimi mesi strazianti: «Per 70 giorni i genitori non hanno potuto vederlo a causa delle rigide regole imposte dall’emergenza Covid, che non consentivano di entrare in ospedale. Matteo era solare, altruista, un campione che amava la vita», il ricordo dello zio Marco. «Papà quando mi porti a casa? È stata l’ultima frase che mi ha detto. Gli tenevo la mano, era intubato, eppure si sforzava di parlarmi», altro non riesce ad aggiungere il padre Francesco.
fonte corriere.it