Ti prego basta mi fa male, portami il telefono”. Sarebbero queste le ultime parole pronunciate da Marco Vannini la sera del 17 maggio 2015 secondo quanto emerge dall’elaborazione dell’audio della telefonata al 118 effettuata da Antonio Ciontoli.
“Dov’è il telefono, portamelo, portami il telefono”, implora, “mi fa male il braccio”.
L’audio è stato rivelato da “Quarto Grado” dopo una elaborazione effettuata da un team esperti italiani e statunitensi che hanno “pulito” la registrazione per ricostruire le frasi del 20enne in fin di vita. Marco avrebbe potuto salvarsi se i soccorsi fossero stati tempestivi? Il nuovo processo d’appello sulla vicenda giudiziaria della famiglia Ciontoli inizierà l’8 luglio dopo che lo scorso febbraio la Cassazione ha disposto un nuovo procedimento.
Era il 17 maggio 2015 quando Marco Vannini stava trascorrendo una serata a casa dei genitori della fidanzata Martina Ciontoli a Ladispoli, sul litorale romano. Verso le 23.15 il giovane viene colpito da un colpo d’arma da fuoco, mentre si trovava nella vasca da bagno. A sparare Antonio Ciontoli, il padre di Martina. “Stavamo giocando con le pistole, mi aveva chiesto di vederle. Ho caricato ed ho sparato perché pensavo fosse scarica” si sarebbe poi giustificato in aula. Nonostante le urla di dolore e le richieste disperate del ragazzo, i soccorsi non vengono chiamati per quasi un’ora e anche quando finalmente la famiglia si decide a chiamare i fatti vengono minimizzati si parla di spavento, ferita con un pettine.
Marco muore alle 3.10 di notte mentre si trova sull’eliambulanza in un trasporto d’urgenza che se fosse stato effettuato per tempo forse avrebbe potuto salvargli la vita.
In primo grado Antonio Ciontoli era stato condannato a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale. La Corte d’Appello di Roma aveva derubricato il reato ad omicidio colposo con colpa cosciente, condannandolo a 5 anni.
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