Ancora una volta un vecchio buono fruttifero postale si rivela un tesoro. Emesso prima della caduta del muro di Berlino, oggi quel pezzettino di carta ha fruttato 76.000 euro alla figlia e ai nipoti di una signora di Milano. Ma per vedersi riconoscere quel rendimento, il nipote è dovuto ricorrere all’Arbitro bancario finanziario ignorando il consiglio del direttore della filiale delle Poste che, appena saputo del reclamo, aveva liquidato la signora con una battuta, dicendole che quegli interessi fossero “più che sufficienti”.
Il nipote ha raccontato la storia ad Altroconsumo, l’organizzazione di cui è socio. È una vicenda simile a molte altre in Italia, frutto di un grosso pasticcio di Poste Italiane che coinvolge i buoni delle serie O, P e Q emessi dalla seconda metà degli anni Ottanta. La differenza, in questo caso, la fa l’ammontare del rendimento – quasi 80.000 euro per un buono da cinque milioni di lire – e il fatto che stavolta Poste abbia commesso un “doppio pasticcio”.
Si tratta di un buono che, in origine, era della serie O, sul quale è stata stampata, successivamente, la tabella con i tassi di interesse (più bassi) della serie P. Ma, siccome quel buono dev’essere rimasto per parecchio tempo nel cassetto dello sportello allo Poste, al momento dell’emissione la serie vigente era diventata la Q. Così l’addetto allo sportello ci ha sovrapposto un secondo timbro, con tassi di interesse ancora diversi. E non è tutto: come già accaduto molte altre volte, entrambi i timbri indicavano i tassi dal primo al ventesimo anno, senza specificare quali fossero quelli dal ventesimo al trentesimo. I ricorsi di questo tipo (relativi al tasso degli ultimi dieci anni di validità) sono ormai centinaia in tutta Italia e l’esito è quasi sempre favorevole al cliente. Il caso di Milano è, però, diverso proprio perché i timbri sono due.
repubblica