Un aguzzino, più che un imprenditore. E’ finito in carcere il cinese titolare di fatto di una confezione, della quale era formalmente solo un dipendente, che trattava gli operati come schiavi per la produzione di mascherine.
Imponente il blitz della Guardia di finanza, che ha eseguito l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Prato. In campo ben 250 finanzieri, per l’occasione messi a disposizione da molti comandi toscani, visto che c’erano da eseguire ben 28 perquisizioni in aziende del distretto tessile pratese, tutte a conduzione cinese, di tre società e dei domicili di alcuni rappresentanti legali e di dipendenti.
L’operazione di polizia giudiziaria è stata eseguita insieme al personale del Dipartimento della Prevenzione dell’Asl Toscana Centro di Prato, e scaturisce da precedenti indagini sull’imprenditore cinese, accusato di gravi reati connessi allo sfruttamento del lavoro ai danni di 23 suoi connazionali, operai impiegati a «nero», 15 dei quali clandestini.
Moltissime le irregolarità rilevate: turni di lavoro, in media, di 13/16 ore giornaliere in condizioni degradanti e di pericolo, in spazi ridotti per la presenza di numerosi macchinari, con vie di fuga ostacolate dal deposito di materiale lavorato ed in produzione ovvero residui tessili, con l’uscita di emergenza bloccata dall’interno e non rapidamente raggiungibile. I lavoratori sfruttati non potevano fruire di riposi festivi ed interrompevano il loro operato con brevi pause di circa 10/15 minuti in coincidenza con la consumazione dei pasti, in assoluta promiscuità nel medesimo locale produttivo, con polveri e residui di scarti industriali. I laboratori fungevano anche da dormitori, con posti letto inventati in situazioni non abitabili, i classici loculi che ormai a Prato purtroppo sono ben noti.
Nelle ultime settimane le indagini hanno subito un’accelerazione: con la creazione di altre due ditte intestate a prestanome, l’imprenditore occulto aveva convertito la produzione per realizzare le mascherine, per conto di una società di Prato riconducibile a due fratelli di origine cinese ben radicati nel territorio.
Quest’ultima azienda, normalmente operante nel settore dell’abbigliamento e temporaneamente dedita alla produzione di dispositivi medici, è tra quelle che rifornisce in rilevanti quantitativi la Regione Toscana (tramite l’Estar), il Dipartimento della Protezione Civile nonché importanti catene private della grande distribuzione ed altre imprese.
Le indagini sono state quindi estese ai contratti stipulati con i due enti pubblici – alcuni ancora in corso di esecuzione – che prevedono la fornitura di 93 milioni di mascherine alla Protezione Civile e di 6.700.000 ad Estar, commesse milionarie e parecchi: 41 milioni e 800mila euro la prima e tre milioni e 200mila euro la seconda.
Per la produzione delle mascherine la società pratese si è avvalsa quali contoterzisti, subappaltatori occulti, di 28 confezioni del comprensorio, riconducibili a imprenditori orientali, tra le quali quelle in precedenza investigate. Tutte sospettate di analoghe criticità circa il modo di operare, quanto meno in termini di impiego di mano d’opera “a nero” e violazioni delle norme che regolano la sicurezza sui luoghi di lavoro.
La società in questione avrebbe dichiarato all’Estar, che si occupa dell’approvvigionamento per le Asl toscane, l’assenza di sub-appaltatori, in quanto consapevole presumibilmente del fatto che le ditte cinesi incaricate non erano in possesso dei requisiti fissati dal Codice degli Appalti. era una dichiarazione falsa. Falsa sarebbe anche la dichiarazione circa l’inesistenza di pendenze con il Fisco, conditio sine qua non per poter contrattare con la Pubblica Amministrazione.
Oltre a ciò, è stato rilevato che l’Istituto Superiore di Sanità – precedentemente interpellato a norma di legge dalla società pratese nella prima fase emergenziale – aveva espresso, in ragione della mancata rispondenza ai requisiti previsti, parere non favorevole alla produzione e commercializzazione di mascherine che, ciò malgrado, sarebbero state poi comunque cedute alla stessa Estar.
Sono in corso ulteriori accertamenti in ordine alle commesse ricevute dalla Protezione Civile. Tuttavia, spiegano dalle Fiamme Gialle, al momento è già emerso che, a causa dell’impossibilità di far altrimenti fronte alle serrate scadenze di consegna, parte delle mascherine fornite non sarebbero conformi a quanto pattuito ed ai requisiti previsti per i dispositivi medici.
Le indagini, che proseguono a ritmo serrato, riguardano anche la posizione di due ulteriori società con sede nella provincia di Firenze, gestite da soggetti italiani ed in stretti legami di collaborazione con l’azienda pratese, destinatarie anch’esse di commesse da parte dei due citati Enti pubblici, nel cui contesto si sospettano analoghe criticità.
I reati ipotizzati sono quelli di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, favoreggiamento e sfruttamento dell’immigrazione clandestina, violazioni alla sicurezza sui luoghi di lavoro, violazioni al codice degli appalti, frode nelle pubbliche forniture e truffa ai danni dello Stato.
La Protezione Civile ed Estar (per conto della Regione Toscana), parti lese, stanno collaborando con gli inquirenti.
Sono così scattatoi i sequestri di conti correnti e dei beni riconducibili all’azienda indagata e ai suoi rappresentanti, fino ad arrivare ai 3 milioni e 200mila euro (quanto ricevuto da Estar) e dei macchinari in uso alle 28 ditte subappaltatrici.
Inoltre, durante le perquisizioni sono stati finora complessivamente individuati, all’interno della quasi totalità delle ditte perquisite, ben 90 cinesi clandestini.
Sono stati arrestati anche 13 imprenditori cinesi (di fatto o di diritto) per l’impiego di manodopera clandestina, ciascuno infatti aveva alle proprie dipendenze più di tre lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno.
Con la Finanza hanno collaborato anche la Questura di Prato e i Carabinieri.
fonte la nazione