“Voglio avere giustizia, ma la Corte d’assise mi impedisce di provare che il Dna sul corpo di Yara non è mio”. E’ quanto chiede Massimo Bossetti, il muratore di Mapello condannato all’ergastolo, dopo tre gradi di giustizia, per l‘omicidio della giovane nel 2010. I legali dell’uomo contestano la decisione di negare la revisione del materiale genetico, considerata la prova regina, sui reperti dopo che la stessa Corte nel novembre del 2019 aveva dato il permesso.
A riportare il suo sfogo, è il quotidiano Libero con cui Bossetti ha avuto, nel corso degli ultimi mesi, uno scambio epistolare. Dopo la decisione della Corte, “nessuno può capire davvero – scrive Bossetti – quanto sia dura sia fisicamente che psicologicamente. Ogni ora è un giorno ed ogni giorno è una settimana e la sofferenza si abbatte giorno e notte nello status di detenuto, aggravato ancor di più da una accusa infamante quale l’omicidio di una povera bambina”.
“Resisto – scrive il muratore di Mapello a Libero – fondamentalmente per i miei cari familiari che non hanno mai smesso di credere in me, per tutte le persone che mi stanno accanto e chemi vogliono bene e soprattutto perché dimostrare la mia innocenza è diventata fonte della mia ragione di vita. Una persona innocente deve essere disposta a tutto, anche a morire, se dovrà essere necessario farlo. La mia colpa è quella di essere innocente e il vero problema è di essere un cittadino assalito da un terribile errore giudiziario”.
La prova regina Non voglio attaccare la magistratura perché ho rispetto di questo potere dello Stato. Però dico che sono rimasto basito da questo provvedimento. Basito perché per due volte la Corte d’Assise di Bergamo ci dice di sì, che si possono fare queste attività, e poi la stessa Corte d’Assise quando gli chiediamo “come e quando fare queste attività ci risponde che è inammissibile”, spiega il legale delll’uomo.
fonte tgcom24