“In Italia per essere presi in considerazione occorre morire. Io disgraziatamente sono rimasto in vita e oggi do fastidio perché dico ciò che penso e non quello che vogliono che io dica”. La strage di Capaci per Giuseppe Costanza, l’autista del giudice Giovanni Falcone scampato al tritolo di Cosa nostra, ha segnato l’inizio di un oblio lungo 23 anni. “Dopo 18 mesi tornai a lavoro, mi aspettavo un’accoglienza diversa e, invece, non sapevano cosa farsene di me. Mi misero in uno sgabuzzino, un piccolo ufficio con le pareti in cartongesso ricavato in un corridoio”, racconta all’Adnkronos. Gli diedero la medaglia d’oro al valor civile e lo assegnarono all’ufficio autoparco. “Entravo, timbravo il cartellino e aspettavo l’orario di uscita. Nessun ordine di servizio. Un incubo. Mi incatenai davanti al tribunale, fu a quel punto che si accorsero che Giuseppe Costanza era vivo. E stato il periodo più brutto della mia vita, altro che bomba… Dopo 10 anni non ce l’ho fatta più e me ne sono andato”.
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