(di Elvira Terranova) – Quelle terribili immagini dell’autostrada sventrata, girate subito dopo la strage di Capaci, le ha viste e riviste, tante, tantissime volte “forse troppe volte…”, confessa. “L’ultima è stata ieri sera”, dice con un filo di voce. Emanuele Antonio Schifani, capitano della Guardia di Finanza di 28 anni è il figlio di Vito Schifani, uno dei tre agenti di scorta morti il 23 maggio 1992 insieme con il giudice Giovanni Falcone e la moglie Francesco Morvillo. Uccisi dal tritolo. Non ama apparire, preferisce lavorare in silenzio. Però, questa volta, alla vigilia del 28esimo anniversario della strage ha deciso di rompere il silenzio e di raccontarsi in una intervista esclusiva all’Adnkronos. Emanuele aveva appena compiuto 4 mesi quando il papà, che aveva l’età che il giovane ufficiale ha oggi, venne ucciso barbaramente da Cosa nostra.
Lo ha conosciuto solo attraverso il racconto della mamma, Rosaria Costa, battagliera donna, vedova appena ventenne, che durante la cerimonia funebre si rivolse ai mafiosi e disse singhiozzando: “Io vi perdono, ma voi inginocchiatevi”, una frase divenuta simbolo della ribellione alla mafia. Ma Emanuele ha perdonato? “La migliore risposta è la scelta che ho fatto”, si limita a dire laconico il capitano, che assomiglia moltissimo al padre Vito, un grande atleta. Emanuele dice di “non provare odio” ma “tanta rabbia, quella sì”.