Quando gli ospedali erano al collasso per Covid-19, il primario oncologo di Piacenza «vestito come un astronauta» è intervenuto con l’assistenza domiciliare. La rivista Time gli ha dedicato la copertina
I l dottor Luigi Cavanna, sessant’anni, primario di oncoematologia all’ospedale di Piacenza, non si aspettava di finire su Time per aver fatto quel che ogni medico dovrebbe fare: portare a casa dei malati una cura e anche un antidoto alla solitudine. Lui l’ha fatto nei giorni bui della pandemia e per la rivista americana è diventato un esempio della sanità che funziona: la medicina sul territorio. Purtroppo la politica negli ultimi anni l’ha ridimensionata, riducendola a burocratica routine. Invece è da qui che bisogna ripartire. Dall’assistenza sulla porta di casa. Dal coraggio di medici e infermieri. E dall’umanità.
Partiamo da qui, dottor Cavanna. Dalla sanità da ripensare.
«La sanità va ripensata sulla base dei bisogni clinici ed umani dei malati, sempre più anziani e con più patologie. Meno cure in ospedale e più cure a casa. E meno accessi alla porta girevole del Pronto soccorso. Ai primi di marzo il Pronto soccorso di Piacenza sembrava l’anticamera dell’inferno. Malati dappertutto, con dispnea, febbre, fame d’aria, le Tac che sfornavano referti su referti di polmoniti bilaterali interstiziali».
«I nostri reparti sono diventati Covid: era fondamentale in quei giorni trovare spazio e posti letto per pazienti che arrivavano in condizioni oramai precarie. Giorno e notte si sentiva la sirena delle ambulanze… Siamo stati investiti da un’onda d’urto difficile da descrivere, difficile perfino da ricordare. Una situazione drammatica, di grande emergenza. Non si poteva non fare qualcosa di più rispetto al normale. C’è stata una prova straordinaria del personale sanitario, una prova di grande umanità. Allora si diceva che i malati Covid potevano essere salvati solo con la terapia intensiva. Si ripeteva che una cura specifica per Covid non esiste. I ricoverati venivano curati con due farmaci per bocca: idrossiclorochina ed antivirali, oltre a ossigeno e terapia di supporto. Gli stessi farmaci però potevano essere somministrati a domicilio, in una fase molto più precoce e quindi con una efficacia antivirale migliore. Ma nessuno ancora lo faceva. I pazienti arrivavano in ospedale dopo giorni o settimane di febbre, tosse, malessere, poi dispnea da sforzo e dispnea a riposo».
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