Questa lettera racconta una storia. Di dolore, di speranza, di orgoglio e di attaccamento alle Istituzioni. La storia di una figlia di 17 anni e del padre contagiato dal Covid durante il lavoro. Una storia come altre, in questi tempi di pandemia, ma nello stesso tempo diversa perché lei e il padre vivono a 600 chilometri di distanza: lei studentessa del Liceo scientifico «Pasolini» di Potenza, lui ufficiale dei carabinieri a Bologna. Lontani ma vicini, distanti ma uniti. Perché quando sei figlia di un carabiniere sai sin da piccola che il lavoro potrà tenerti lontana.
Ma sai anche che questo ti renderà orgogliosa e fiera di appartenere alla grande famiglia dell’Arma. Per questo non ti pesano chilometri e confini, non ti pesano distanze e solitudini. A consolarti l’idea che tuo padre faccia qualcosa di speciale, di unico, di importante. Qualcosa che serve ad aiutare il tuo Paese, soprattutto quando quella Nazione, a te tanto cara, si trova a vivere l’inferno di un’emergenza. Così, invece, di progettare il prossimo viaggio e la successiva vacanza ti trovi a scrivere: «Papà stai attento!», «Papà hai la mascherina?» «Papà sei riuscito a recuperare l’Amuchina?».
Raccomandazioni vane perché tuo padre – anche se le mascherine tardano ad arrivare, anche se vive in una delle regioni più contagiate – non può e non vuole fermarsi. Lui è un uomo dello Stato, è un uomo delle Istituzioni e tu proprio al Capo dello Stato, ti rivolgi per testimoniare l’impegno di tanti come lui. Tuo padre è un tenente colonnello dei carabinieri ed il suo lavoro lo considera una missione. A fermarlo, però, ci pensa il Covid. Prima tre giorni di febbre a casa, poi il ricovero in ospedale. Solo, senza la possibilità di parlarci, senza la possibilità di essergli vicino. Separati. bloccati e lontanissimi. E con una malattia che va all’attacco finale. Le prime notizie rassicuranti lasciano il posto a bollettini allarmanti: «È in peggioramento», ripetono i medici, mentre i pochi contatti con lui, avuti con whatsapp, diventano sempre più radi. Fino a quel giorno di marzo in cui, con un filo impercettibile di voce, riesce a fare una brevissima video-chiamata. «Mi stanno portando in rianimazione. Vogliono intubarmi. Volevo salutarvi». Ma quello non è un giorno come gli altri, quello è il giorno in cui Lei compie 17 anni. Un compleanno che padre e figlia sognavano di trascorrere insieme, come ogni anno, e che, invece, rischia di diventare il peggiore degli incubi, perché le lacrime che scorrono sul volto della madre non riescono a nascondere una verità inconfessabile: quello può essere l’ultimo ricordo del padre.
A 17 anni, però, sognare e sperare sono il senso della vita. E a quelli ti aggrappi, convinta che tuo padre manterrà la promessa di non lasciarti. Nel frattempo, scorre il tempo e ti auguri che i giorni passino senza che il telefono squilli, senza che i medici – oltre il resoconto quotidiano – ti chiamino per dirti che il virus – come usa fare – ha aggravato repentinamente le condizioni. E tu speri e preghi, consapevole che dall’altra parte quel padre sta lottando per te. Come è avvenuto. Dopo giorni di silenzio, ritornano i messaggi sul cellulare. Il «casco per la respirazione» ha funzionato, non è stato necessario intubare, quel padre è in miglioramento. Una grazia per chi crede, una fortuna per chi non crede. Per Lei un segno dell’amore di Dio, anche se ci vorranno giorni e giorni per dichiararlo fuori pericolo e per rimandarlo a casa, dove resta in isolamento per settimane in un’altalena di sintomi lievi e di tamponi positivi e negativi. Solo due giorni fa è stato dichiarato ufficialmente guarito. Dopo due mesi dal contagio.
Ci vorrà ancora tempo, invece, perché padre e figlia possano riabbracciarsi. Tra regole, timori per il virus e la voglia del padre di tornare a fare il suo dovere di ufficiale dell’Arma, dovranno attendere «Ma va bene così», scrive la figlia in una lettera al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «Presidente, le ho scritto, per farle sapere che – nonostante le difficoltà, la crisi e la paura – ci sono tanti italiani che non si sono fermati per fare il loro dovere. Mio padre è solo uno dei tantissimi che ogni giorno hanno lavorato per noi. Medici, infermieri, carabinieri, poliziotti e volontari. Uomini che nel silenzio e nell’anonimato hanno fatto e fanno il loro dovere. Per aiutare l’Italia intera». Un messaggio inviato come testimonianza dell’impegno di tanti carabinieri a cui il presidente della Repubblica ha risposto con una lettera personale scritta di suo pugno. «Spero di poterti incontrare un giorno con tuo padre», ha concluso il Capo dello Stato. E per la prima volta, dopo mesi senza piangere e senza mostrare un cedimento, le lacrime sono scese sul volto di questa mia figlia di 17 anni.
fonte la gazzetta del mezzogiorno