Oggetto: agente Antonino Lollo, poliziotto esemplare – avvio dell’azione disciplinare
Signor Capo della Polizia,
abbiamo appreso con vivissimo sconcerto di come la d.ssa Maria Dolores Rucci, dirigente superiore della Polizia di Stato, nella sua qualità di Dirigente del Compartimento della Polizia stradale per il Piemonte e la Valle d’Aosta, abbia firmato di proprio pugno una contestazione di addebiti nei confronti del giovane agente Antonino Lollo, in servizio presso la dipendente Sezione di Vercelli, ipotizzando che questi abbia «omessa o ritardata la presentazione in servizio sino ad un massimo di quarantotto ore» ed abbia avuto un «comportamento non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza» per aver rilasciato il 15 febbraio scorso, al quotidiano locale “L’Eco di Bergamo” un’intervista, successivamente pubblicata l’11 aprile dal quotidiano “La Gazzetta del Sud” – edizione di Messina ed il 22 aprile dal quotidiano “La Stampa” – edizione di Vercelli.
Nella contestazione si afferma tra l’altro che il Lollo avrebbe violato, «durante un periodo di malattia che perdura del 17 febbraio e proseguirà fino a 3 maggio p.v., salvo ulteriori proroghe», tre ministeriali in materia di “Comunicazione istituzionale della Polizia di Stato” in quanto «non ha comunicato al Dirigente la Sezione Polizia Stradale di Vercelli l’intenzione di rilasciare interviste a vari quotidiani non consentendo a quest’ultimo di attenersi, conseguentemente, alle disposizioni previste in materia di rapporti con gli organi di stampa» ponendo in rilievo, in tale contesto «di essere un appartenente alla Polizia di Stato» e ciò configurebbe, appunto, così come già accennato in premessa, «la mancanza prevista dall’art. 4, n. 9 e dall’art. 4, n. 18 del D.P.R. n. 737/1981».
Signor Capo della Polizia, non è certo questa la sede per sconfessare integralmente quanto affermato in quell’atto, che riteniamo meramente vessatorio, ma non possiamo esimerci dallo stigmatizzare ed evidenziare come ci lasci esterrefatti quella generica allusione ad una non specificata «omessa o ritardata presentazione in servizio sino ad un massimo di quarantotto ore» presente, appunto, nella contestazione disciplinare in argomento, la quale, come noto, o dovrebbe essere noto ad un dirigente di così elevata cultura professionale, a norma del d.P.R. 737/81, art. 14, co. 1, 2° periodo, «deve indicare succintamente e con chiarezza i fatti».
Nel caso di specie, al contrario, si omette addirittura la data in cui la presunta violazione dell’art. 4, punto 9) si sarebbe verificata, lasciando solo intendere la connessione tra l’addebito ed i periodi di assenza legittima per malattia che peraltro, per quel che ci consta, sono stati tutti regolarmente confermati dai vari medici della Polizia di Stato, di volta in volta interessati.
Ma, probabilmente, sono stati ritenuti troppo lunghi – in quanto protrattisi dal 17 febbraio «fino al 3 maggio p.v. compreso, salvo ulteriori proroghe»: tali inconferenti indicazioni sembrano voler intimare, per chi legge, un veloce rientro in servizio per evitare o mitigare le conseguenze del procedimento disciplinare.
Tale ipotesi, d’altronde, appare corroborata anche dal fatto che risulta davvero difficile comprendere quale sia la reale urgenza di far notificare la contestazione disciplinare dalla Sezione Polizia Stradale di Bergamo, nella cui provincia il Lollo risiede e si trova tutt’ora in malattia.
Diversamente opinando detto provvedimento avrebbe potuto essere tranquillamente notificato al rientro in servizio dell’incolpato, riconoscendogli così anche tutte le relative, connesse e consequenziali potestà difensive, in questo modo menomate.
Ma c’è di più, e di peggio.
Premesso che condividiamo la necessità di seguire le disposizioni relative alle comunicazioni agli organi di stampa e ai media in genere che riguardano l’attività di servizio, ribadiamo però che una cosa sono le comunicazioni relative all’attività di servizio, quando chi comunica con i media rappresenta la Polizia di Stato, e tutt’altra sono le interlocuzioni che riguardano la sfera privata di un cittadino anche se, per lavoro, fa il poliziotto e soprattutto quando, per qualsiasi motivo, quindi compreso quando è in malattia, è libero dal servizio.
Peraltro, il 15 febbraio, data in cui la contestazione colloca l’unica – in realtà – intervista rilasciata dal collega Lollo, questi ci risulta che stesse fruendo del riposo settimanale e non della malattia, come invece, a nostro avviso capziosamente, la contestazione lascia intendere.
Solo dal 17 febbraio il Lollo ha iniziato la malattia, facendo accusare all’atleta quelli che apparivano essere i sintomi dell’infezione da COVID-19 proprio nel momento in cui questa iniziava a manifestarsi con tutta la sua massima virulenza in Italia e, segnatamente, nella zona in cui egli si trovava. Ma la contestazione addebiti fa riferimento ad «interviste» – declinando volutamente il sostantivo al plurale nonostante l’evidenza contraria – rilasciate «a vari quotidiani… durante un periodo di malattia».
La ripetuta intervista, peraltro, è incentrata su di un atto di grande generosità dell’agente, che ha donato una mensilità del proprio stipendio a tre ospedali ubicati nei tre centri d’interesse della sua vita: nel messinese, dove è nato, nella bergamasca, dove risiede e si trovava il 15 febbraio e nel vercellese, dove presta servizio dal momento in cui è entrato a far parte della Polizia di Stato.
Ex adverso a quanto assurdamente accaduto, il cittadino Lollo andrebbe quindi segnalato alla Presidenza della Repubblica per essere insignito di una onorificenza “al merito”, mentre il poliziotto Lollo avrebbe dovuto essere premiato dal dirigente della Sezione o da quello del Compartimento, che invece, ahinoi, lo vorrebbe punire.
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»: esordisce così l’art. 21 della Carta costituzionale e l’unico limite a questa libertà sono reali esigenze di riservatezza e decoro.
Signor Capo della Polizia, mi consenta di esprimerLe il pensiero della Federazione che rappresento, e cioè che, in questa assurda vicenda, l’unica mancanza di decoro e disdoro all’Amministrazione è data dal comportamento di chi ha attivato l’azione disciplinare e che, secondo noi, intende tale funzione in modo assolutamente distorto, convincendoci ancor più che nelle modifiche ai nostri regolamenti, di servizio e di disciplina, serve un richiamo più forte e serio alle libertà costituzionali anche degli appartenenti alla Polizia di Stato, oltre a un richiamo a maggiori responsabilità in chi, nella sua funzione, è chiamato ad assolvere al delicato onere di dominus dell’azione disciplinare, attesa l’estrema importanza a cui tale funzione assolve.
Confidando nella Sua sensibilità al riguardo ed in un Suo autorevole intervento che ponga fine a questa incredibile e, mi permetta, vergognosa vicenda che, se protratta, non farebbe altro che alimentare l’eco negativa già suscitata sugli organi di stampa, inviamo i più cordiali saluti.