Lidia Liotta, 55 anni, lavorava alla casa di riposo di Predore. L’ultimo messaggio dall’ospedale: «Da qui uscirò solo morta»
Stava male e la sorella la implorava di non andare al lavoro. «Mi ha risposto: il capitano non abbandona la nave». Questa era Lidia Liotta, morta ieri all’ospedale bresciano di Ome all’età di 55 anni. Siciliana di Sciacca, da vent’anni lavorava come caposala alla casa di riposo Villa Serena a Predore. Viveva nel paese del lago d’Iseo con il marito Calogero Guardino, messo comunale a Villongo, e la figlia Maria Pia, 20 anni.
Nella Rsa, della parrocchia ma gestita dalla cooperativa Universiis, dall’inizio dell’emergenza sono morti 10 anziani su 25. «Già il 26 febbraio — racconta la sorella Giusy, insegnante alle medie di Chiuduno — mi ha scritto di essere preoccupata perché i suoi “nonnini”, come li chiamava affettuosamente lei, stavano male, c’erano dei casi di polmonite. Poi a un certo punto ha cominciato a stare male anche lei, con febbre alta, tanto che ai primi di marzo è dovuta restare a casa per qualche giorno.». La situazione alla casa di riposo si complica, un’infermiera si licenzia per problemi familiari, altre si ammalano. «Dopo pochi giorni ha deciso di rientrare al lavoro. Io l’ho scongiurata di non andare, ma lei mi ha risposto: Un capitano non abbandona la nave, i miei nonnini hanno bisogno di me”. Ha ricominciato a lavorare e faceva i doppi turni, entrava alle 7 e usciva alle 20.30. Forse gli stessi dirigenti avrebbero dovuto tenerla a casa». Ma il ritorno al lavoro è durato poco: «L’11 marzo ha avuto un tracollo, ricordo che sentiva un forte dolore alle ossa. Mi ha scritto di essere disponoica, e non riuscivo a respirare. Da allora non l’ho più sentita. L’ultimo messaggio me l’ha inviato poco dopo il ricovero. Diceva: Io da qui uscirò morta».
Oggi al cimitero di Predore si svolgerà una benedizione della salma, quindi il seppellimento. «Era una persona con una grande abnegazione al lavoro, prima come infermiera e poi come caposala — commenta Tiberio Foiadelli, direttore della casa di riposo —. Non sapevamo che stesse così male, era rimasta a casa qualche giorno prendendo delle ferie ed era rientrata per poco perché doveva effettuare dei colloqui alle nuove infermiere, e so che è stata male una sera poco dopo essere rientrata, lo abbiamo saputo quando ci è arrivato il certificato medico elettronico. È una tragedia che ha colpito tutti». «Quello che posso dire di Lidia — ricorda don Alessandro Gipponi, parroco di Predore — è che aveva una grandissima dedizione per il suo lavoro, anteponeva sempre i bisogni delle sue nonne ai propri, lo faceva con amore».