È ambientata a Barletta la storia di Giuseppe Moreno Di Trani, 35 anni, l’ ingegnere netturbino.
Una storia di grande dignità che è diventata una notizia e che fa riflettere sulla condizione del lavoro giovanile di una generazione che si trova a dover scegliere tra le proprie passioni e la difficile realtà del precariato che tanto offusca il futuro rendendolo incerto e faticoso da immaginare.
Dopo aver assistito a modelli lavorativi e sociali appartenuti alle precedenti generazioni, è facile trovarsi spaesati e un po’ angosciati provando ad immaginare schemi lavorativi meno stabili e fugaci, che sempre più caratterizzeranno la società prossima.
Molto probabilmente è proprio l’angoscia del futuro ad aver portato l’ingegnere netturbino a fare delle scelte. La storia fa riflettere sull’impegno, sulla dedizione e sugli investimenti dedicati alla formazione poi riconosciuti con il famigerato e agognato pezzo di carta che improvvisamente perde il suo valore e vanifica i tortuosi percorsi affrontati per raggiungere il traguardo.
Inoltre a rendere complicato il percorso verso la stabilità lavorativa è la repentina metamorfosi che il mercato del lavoro in ottica futura subirà. La tecnologia sarà uno dei moventi. Secondo una stima pubblicata da il Sole 24 Ore, il mutamento, interessa il 50-60% delle attività che oggi vengono svolte, ed avverrà nel giro di soli 5 anni. Ma vediamo nel dettaglio la storia di Giuseppe Moreno Di Trani e cosa sta succedendo alle nuove generazioni.
Ingegnere netturbino. Una laurea nel cassetto ed un contratto in mano
La notizia del trentacinquenne laureato con lode in ingegneria civile al Politecnico di Bari nel 2012, è stata pubblicata dal quotidiano La Repubblica che ha raccontato la vicenda. Giuseppe Moreno Di Trani è il primo nella graduatoria, composta da altri 13 vincitori, ad aggiudicarsi il posto da netturbino presso la società municipalizzata BARSA.
“Mi sono detto: sei laureato, va bene. E puoi fare la tua strada, quella per cui hai studiato. Ma quanto tempo ci metterai? È ammissibile raggiungere un minimo di stabilità a sessant’anni? E mi sono risposto: non guardare il titolo di studio, lavora e basta. Bisogna guardare in faccia la realtà. Voglio lavorare e mettere su famiglia con la mia compagna. Perché prima di essere un ingegnere sono una persona” Giuseppe Moreno Di Trani ha poi commentato: “ero stufo di fare piccoli lavoretti sempre precari, sempre sottopagati, o addirittura gratis. Stufo, come moltissime persone della mia generazione di affrontare una realtà lavorativa disarmante”.
Tuttavia l’ingegnere netturbino non è l’unico soggetto laureato ad essersi aggiudicato il posto da operatore ecologico, perché su tredici, sono in nove a possedere il titolo universitario e in quattro ad essere diplomati e a firmare il contratto a tempo indeterminato con la società che si occupa di servizi ambientali.
A tal proposito il sindaco di Barletta, Cosimo Cannito, ha dichiarato all’ANSA: “Il lavoro è una priorità, anzi un’emergenza, e questo spinge ragazzi dal curriculum brillante, con lauree e specializzazioni, a candidarsi e vincere concorsi pubblici per fare tutt’altro rispetto a quello per cui hanno studiato e su cui, probabilmente, avevano puntato. E così un laureato in ingegneria può diventare un operatore ecologico…La lettura di questo fatto non può che essere sociologica e a questi ragazzi auguro che questa sia un’esperienza che possa tornare utile nella loro vita in attesa di una piena realizzazione”.
Perché il capitale umano rischia di non essere utilizzato?
Effettivamente la lettura della questione è di natura sociologica e le difficoltà che incontrano le nuove generazioni interessano il reddito, la pensione, il debito pubblico e ancora la parità di genere. Il gap generazionale è evidente (con un Idv – indice divario generazionale – pari a 128 punti nel 2018) per i giovani millennials che riusciranno ad essere pienamente autonomi solo dopo i quarant’anni.
Una situazione che si aggrava per i giovani del Sud rispetto a quelli del Nord. Difatti a lasciare le famiglie del mezzogiorno negli ultimi 16 anni sono stati ben 1,183 milioni di residenti, la metà ha tra 15 e 34 anni, quasi un quinto laureati.
Una enorme perdita di ricchezza, impiegata oltreconfine, formata al Sud dove il lavoro è sempre più precario e si registra un calo del lavoro a tempo pieno.
Al Nord il divario generazionale resta costante rispetto al Mezzogiorno. Nell’ultimo anno di riferimento, mentre nel Centro Nord c’è stato un aumento di occupati rispetto al 2008 (+384 mila), nel Mezzogiorno il saldo è ancora negativo (-260 mila).
Disarmante è il dato che riguarda i giovani immigrati italiani all’estero. Negli ultimi quindici anni è aumentato di oltre 40mila unità (da 19.720 nel 2004 a 61.553 nel 2018) il numero di giovani italiani che risiedono all’estero, ovvero nel Regno Unito, in Francia e in Germania.
Ma se l’Italia dispone di menti utili e necessarie, riconosciute e valorizzate all’estero, perché se le fa sfuggire e non utilizza questo prezioso capitale umano?
La risposta è da ricercarsi nei pochi investimenti in innovazione e ricerca in tutte le aree geografiche dell’Italia (indistintamente sud e nord) e la sempre più spinta necessità di disporre di figure che siano formate e riformate costantemente in modo da essere al passo con la specializzazione nei settori high-tech e rispondere con abilità tecniche ma anche manageriali per garantire una formazione rispondente alle sempre più veloci innovazioni tecnologiche e cambiamenti del mercato.
fonte ingegneri.cc